mercoledì 11 novembre 2009

Capitolo 1 - Il curioso caso di William Parker



La luce della luna, che regnava alta nel cielo limpido, non era mai stata così luminosa. Si riversava sulle strade di Los Angeles come una pozza argentea, spazzando via le ombre della notte che incombevano avide sui palazzi, mentre
alcuni suoi raggi pallidi trapassavano le nuvole perlacee come se fossero saette. Ogni cosa pareva attratta da quella luminescenza e, quasi inconsciamente, chiunque quella notte avvertiva il bisogno di rimanere irradiati da tale calore e sentire sui propri volti il suo morbido abbraccio. Un desiderio inspiegabile. Forte. Oscuro.
Beatrix poteva ammirare il movimento caotico e scomposto della città. Sedeva sul tetto di un torreggiante grattacielo di oltre trenta piani e da lassù, il vento fendeva l’aria in modo più impetuoso, scompigliandole i lunghi capelli corvini, che si intrecciavano tra loro come le onde schiumose dell’oceano che si abbattono contro un groviglio di scogli rocciosi.
Dal cielo sfumature rosso-grigiastre contornavano il profilo delle montagne brinate alle sue spalle e risaltavano le cornici aggettanti delle finestre degli uffici e di alcuni negozi che mostravano ancora il cartellino “Aperto” sulle vetrine.
Da quell’altezza Beatrix si rilassò, e lasciò che il freddo della notte l’avvolgesse e la cullasse.
Con le braccia, si portò le gambe al petto e poggiò una guancia sulle ginocchia.
Insicurezza...Odio...Amore...Noia...Tristezza...Lussuria...Tradimento...Rancore...Desolazione...Panico...
<< Mi scoppiano in testa! Non posso controllarle... >> sussurrò Beatrix con tono disperato, stringendosi il corpo in un abbraccio solitario e graffiandosi le braccia con le unghie. Pensava che in questo modo il dolore fisico potesse attutire quello mentale, regalandole almeno per un solo istante sollievo e conforto. Ma il suo tentativo fallì, come accadeva tutte le volte che ci provava.
Le emozioni umane si manifestavano ognuna con gusti diversi, e opprimevano continuamente la mente di Beatrix. E la ragazza, nonostante avesse affinato il suo autocontrollo con il passare degli anni, partiva dalla consapevolezza che qualunque metodo avesse usato, quelle sensazioni non sarebbero mai scomparse dalla sua testa con molta sollecitudine. Un loro frammento, anche se fugace, vi rimarrà sempre.
A volte i sentimenti erano molto più profondi e incontrollabili, e finivano per intrappolarla in una morsa così stretta, che ogni muscolo o molecola del suo organismo sembrava paralizzato, come se una spugna imbibita d’acqua e un filo elettrico la toccassero contemporaneamente, dandole una scossa. Però, se si concentrava come le era stato insegnato, riusciva ad opporsi a quelle cariche emotive che si imponevano famelicamente nel suo cervello. Ma a caro prezzo, purtroppo. Beatrix doveva impiegare parte della sua energia, rimanendo senza fiato.
Peggio ancora, se non riusciva a concentrarli in un unico canale della sua mente, un’emicrania sarebbe stato il male minore. Odiava questa parte del suo Potere empatico. Odiava avere una simile sensibilità per il genere umano e la realtà che la circondava.
Era morta da più di tre anni ormai e, tristemente, traeva la forza di andare avanti giorno per giorno immaginando sua madre che, dopo una faticosa giornata di lavoro, l'attende con un sorriso sereno al portone di casa sua, non più spoglia e avvolta da lenzuoli bianchi, ma riempita da quel tepore familiare di cui Beatrix sentiva una profonda nostalgia; o suo fratello Matt, che insieme al padre, il generale Paul Miller, con addosso il suo inconfondibile profumo di tabacco cubano, la prende ancora in giro per le felpe maschili di taglia più grande che Beatrix di soppiatto gli rubava nel cassetto dei vestiti, ebbra di vitalità e ottimismo.
Ma dentro di sè, Beatrix urlava, urlava e urlava... non doveva pensare a loro, non doveva soffermarsi su desideri irrealizzabili! Era giunto il momento di farsene una ragione! Loro non torneranno mai più!
Però, quelle tenere fantasie evocavano in lei solo pace. Un’inebriante, rasserenante, gaia pace. Come faceva a sbarazzarsene di punto in bianco e a rinnegare il suo passato? Era per la sua famiglia che si batteva e che continuava a vivere.
Beatrix scosse il capo, come per schiarirsi le idee, alzò le spalle per sciogliere i muscoli e con essi l’ansietà che si era accumulata.
Contò fino a quattro.
Uno, due, tre, quattro…
Quelle sensazioni estranee fluirono dal suo corpo, sbarrate definitivamente fuori dalle porte della sua mente, impedendo così eventuali ingressi involuti.
D’un tratto, udì un grido femminile a pochi metri di distanza e uno stridere di denti simile al ringhio di una pantera.
Disperazione e paura avevano quasi sempre lo stesso sapore. Metallico e pungente, come il sangue che scorre a fiotti da una ferita pulsante. Ma non era paragonabile a quello disgustoso della gratuita malvagità di molte creature.
Non c’era tempo da perdere.
Beatrix diede un ultimo sguardo alla luna che padroneggiava sul panorama notturno e, allo scoccare della mezzanotte, prese un respiro profondo e saltò.

<< Ragazza, confesso che sono sorpreso di trovarti qui. >>
Will “Beretta 92” sedeva a gambe accavallate su un divano camosciato rosso bordeaux dell’Exotic cafè, il più popolare night club della città di San Diego, in California. Era difficile trovare uno spazio libero per potersi muovere non solo all’interno, ma anche esternamente, dove una calca di persone era sempre pronta a scavalcare una fila lunga chilometri, pur di entrare. Numeri interminabili di auto e motociclette parcheggiate nello spiazzo ghiaioso di fronte all'entrata, lo sfregare delle gomme sull’asfalto delle strade adiacenti, clacson, grida e imprecazioni varie rendevano manifesto l’affollamento tipico del sabato sera.
Un sorriso da trecento watt illuminò il viso cireneo e triangolare di Will, creando due fossette innocenti ai lati delle sue labbra imporporate. Aveva quella tipica aria ingenua e inoffensiva che hanno molte persone. Ma, come suggeriva il suo soprannome, “Beretta 92” non faceva niente senza ricavarne un compenso, non scommetteva mai senza sapere già di vincere, non andava in giro disarmato senza che qualcuno gli coprisse le spalle. La sua semi-automatica di fiducia era sempre infilata nella fondina ascellare nascosta accuratamente sotto la sua giacca di velluto marrone, insieme a un’abbondante scorta di cartucce calibro 9 mm Parabellum, che decoravano una fascia di cuoio legata alla cintola a mo’ di cintura. Usare dei proiettili come borchie era una delle sue tante diavolerie “alla moda”. Se voleva passare inosservato, sicuramente avrebbe perso la sua scommessa.
Una sottile treccia nera, lunga fino all’osso sacro, gli ricadeva su una spalla, e la sua frangia accuratamente fonata si apriva man mano come le tendine di un palcoscenico, scoprendo i suoi magnetici occhi di ghiaccio così chiari da confondersi quasi del tutto con il bianco intorno alle sue iridi.
<< Mi rintracci sempre, ovunque vada. Prima a Tahiti, poi a Venezia, Madrid, San Francisco, Londra… Vuoi continuare a pedinarmi o mi dici che cosa ti serve, Beatrix? >> le chiese pacatamente, mentre il fumo delle sigarette e l’olezzo del sudore disperso impregnavano l’aria, divenuta ormai irrespirabile e stantia.
La ragazza rimase a fissarlo a braccia conserte, con il fianco sinistro poggiato sul pilastro bianco vicino alla porta d’ingresso del club.
Con aria impermutabile, Beatrix si avvicinò a Will, passo dopo passo. I suoi stivali di pelle neri rumoreggiavano a ogni stoccata, facendo oscillare il parquet del locale come se fosse scosso da fremiti improvvisi.
Quando si ritrovarono faccia a faccia, Beatrix poggiò le mani sui braccioli della poltrona e fece aderire le sue gambe a quelle di lui frontalmente, in modo che Will potesse sentire anche attraverso il tessuto aderente dei pantaloni, il freddo contatto del metallo delle sue armi di fiducia: lunghi pugnali sai, aguzzi e dalle punte taglienti e letali.
<< Oh, Will, non mentire: lo so benissimo che sei contento di vedermi. Lo sento. >>, bisbigliò le ultime parole alitandole vicino al suo orecchio destro.
Will chiuse e riaprì le palpebre più volte e arricciò il naso all’insù. Era palesemente nervoso. Con Beatrix era davvero difficile nascondersi dietro i suoi soliti giochetti.
Dannazione.
Guardandolo con i suoi occhi cerulei, due oceani penetranti che sfavillavano sotto la luce soffusa del bar, Beatrix non aspettò nessuna risposta. Si sedette accanto a lui, imitando la sua stessa postura e facendo ricadere la testa sul cuscino. Chiuse gli occhi.
<< Ho capito, ragazza. >> Will le circondò le spalle con un braccio e la tirò a sé, mentre Beatrix, di rimando, si accoccolò più vicina, il capo contro l’incavo del suo collo. L'odore di sapone, profumo maschile e dopobarba le riempì le narici e sentì su uno zigomo gli anelli della catenina di ferro che scendevano fino al petto di lui con una croce celtica penzolante.
Un amico. Era questo di cui aveva bisogno. Un vero amico.
Ma in quel momento, la porta si spalancò bruscamente e una cacofonia di sensazioni si riversò nella mente di Beatrix, senza controllo: furore, rabbia, disprezzo, vendetta. E, sfortunatamente, era proprio Will il diretto interessato.

5 commenti:

  1. Questo è il primo capitolo che da un assaggio di come sia la vita di Beatrix, piena di tormenti, speranze e una bizzarra...amicizia.
    Spero che la lettura vi sia stata piacevole!
    XOXOXOXOXOXOXOXOXOXOXO Midha

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  2. Beatrix è stata un'eroina che ha sempre accompagnato le mie fantasie, sin da quando ero piccola. La sognavo con i suoi capelli neri come il carbone mentre salvava vite umane. La sognavo affascinante, bella, coraggiosa e soprattutto indomabile come il vento, energica come il fuoco, veloce come una tempesta e splendida come il sole. Le sue avventure che man mano sto scrivendo le avevo in mente da tanto tempo, anni su anni, e spero che vi appassioneranno come me che mi diverto così tanto a trascriverle.
    Midha

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  3. Il tuo blog è meraviglioso...non ho ancora letto tutti i capitoli...ma già so che sono tutti meravigliosi...sono sempre più stupita d quanto sei brava..
    Il tuo diavoletto

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  4. Diavoletto sei qui!!!!!!!! Grazie per il tuo appoggio! Midha

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