giovedì 31 dicembre 2009

Capitolo 5 - La volpe dagli occhi di ghiaccio




Per essere le due e mezza del mattino, a San Diego la temperatura era abbastanza calda e carezzevole, adatta a chiunque avesse voglia di passeggiare di notte senza pensieri. Un clima pressoché accettabile per gli standard della città, considerando che solo da poche settimane si era entrati nella stagione autunnale.
Un vento altrettanto piacevole sventolava come una bandiera alcune ciocche ricce sulla fronte di Beatrix. La ragazza si rifiutò di coprirsi le spalle esposte con la giacca, mantenuta comodamente sotto un braccio. Il suo fuoco, anche se non si stava manifestando fisicamente, produceva un bel calduccio ristoratore sulla sua pelle, mentre Beatrix giocherellava con il suo amuleto d’argento dalle fantastiche incisioni invetriate che portava appeso al collo e, un po’ annoiata, percorreva lo stretto vialetto che costeggiava il club. Erano ore che cercava un qualsiasi segno di Will, una traccia delle sue emozioni per poterlo rintracciare, ovunque fosse finito. Difficile sia a dirsi che a farsi, ma Beatrix conosceva quel furbacchione fin troppo bene.
Era stata in mille posti che potessero corrispondere alla tipologia di locali frequentati dall’amico. Ma di Will neanche l’ombra. Perciò era ritornata all’Exotic, per un ulteriore tentativo. Purtroppo Beatrix non vide altro che adolescenti intenti a tracannare più alcol di quello che il loro organismo fosse in grado di tollerare; notò anche qualche essere fatato, (nessuna Shee, per fortuna), come fastidiose pixie o eccentriche meduse, che si divertivano a fare scherzetti banali alla gente che passava senza farsi scoprire, visto che il glamour permetteva loro di rendersi invisibili agli occhi inesperti degli umani; un paio di Veggenti che, pur di guadagnare, vendevano i loro doni in semplici letture della mano e dei tarocchi; un gruppetto di vampiri, generati da pochissimo tempo, che trascorrevano la serata come molto probabilmente facevano da vivi, e una setta di streghe che già si affrettava a sistemare i preparativi per il Samhain imminente.
Tutto nella norma per la movimentata realtà di Beatrix. E a pensare che alcuni anni fa, questo le sarebbe sembrato del tutto impossibile. Ma, come dice sempre Will, mai dire mai nella vita.
Quando le sue forze stavano per essere divorate dal profondo abisso della stanchezza, Beatrix ebbe un cattivo presentimento. E se Will non fosse mai uscito dal locale, prendendo per i fondelli sia lei che i cacciatori? Beatrix non poteva credere che il suo migliore amico fosse stato così codardo da non prendersi le sue responsabilità e affrontare coraggiosamente la sua ex fidanzata patologica e Mark Turner. Forse era lei eccessivamente legata a principi a cui Will non ci faceva neanche un pensierino.
Conscia di questa amara verità, la ragazza accelerò il passo e, con grande repulsione, rivide l’entrata dell’Exotic così come l’aveva lasciata. Senza tanti convenevoli le diede un calcio e sgattaiolò dentro.
<< Will, lo so che sei qui. Esci fuori! >>
Le sue urla fecero eco a un sospiro sommesso. Mark e le sue cacciatrici se n’erano andati via da un pezzo, come anche gli abituali clienti del club. Allora, oltre a Will, chi poteva essere?
<< Ciao, Beatrix. Sono Billy. >>
La sua vocina nasale aveva il classico accento strascicato dei troll, ma molto cordiale e amichevole. Con una manina fece un movimento circolare che voleva essere un timido saluto.
<< Ehi, scusa, Billy... ehm... hai visto Will? >>. Beatrix aveva addosso ancora quella sinistra sensazione, ma non voleva mollare l’osso proprio adesso che era ultima alla sua ricerca.
<< Oh, sì, sì. È uscito una ventina di minuti fa dalla porta blindata laterale. Ha aspettato che Il cacciatore arrestasse la Shee e poi è scappato via come un razzo. Beh, l’ho visto con i miei stessi occhi scendere le scale e sfrecciare con la sua Cadillac parcheggiata sul retro. E se non mi credi, fa come vuoi, ragazza. >> Ragazza? E da quando un troll fa uso di vezzeggiativi confidenziali ed è così gentile da rivelare succulenti particolari senza chiedere un alto compenso in bigliettoni?, si domandò Beatrix sempre più convinta che il suo intuito fosse quello giusto.
<< Ma davvero, Billy? Sei disposto a giurarlo sulla tua testa? >> Beatrix decise di stare al gioco. Prese a picchiettare un’unghia su un sai che aveva posizionato sul fianco destro.
Il finto Billy deglutì così fortemente da sentire il groppo di saliva sbattere contro le pareti della sua gola.
<< Certo, certo... Però se vuoi seguirlo...>>
<< Oh, ma perché stancarmi più di tanto se posso godere di una piacevole compagnia come la tua? >>
<< Già, perché no. >> Billy aveva acquisito scioltezza nel parlare, senza quello stupido, falso accento da troll, e la sua mascherata era prossima alla fine. Messo un piede dopo l’altro e calmato il crescente battito cardiaco che invitava il suo cuore a uscire fuori dal petto, il troll tentò di ficcarsi attraverso la porta secondaria, suggerita precedentemente da Will come possibile via di salvezza. Però l’Incantatrice, sospettando questa sua reazione, chiamò al suo cospetto uno dei quattro elementi naturali con cui aveva spontaneamente simpatizzato sin da quando, tre anni fa, aveva scoperto il suo Potere di Incantatrice. Come se stesse spazzando via una manciata di polvere schiaffeggiando l’aria con il dorso di una mano, procurò un’ondata di vento incredibilmente prosperosa da far piombare Billy contro il muro.
Gemente, questi si sollevò e tenne il peso della propria mole sulle sue ginocchia tremolanti.
<< E va bene, hai vinto! >>. Billy gesticolò spasmodicamente, con il timore che la sua supplica non fosse sufficiente a calmare la furia di Beatrix.
<< Non prenderti gioco di me. Smascherati, Will! >>, lo redarguì la ragazza con tutto il fiato che le era rimasto in corpo. Era stato un tremendo, schiacciante sforzo solo pronunciare quell’avvertimento: Beatrix era stanca dopo una giornata in cui aveva dovuto dare il massimo delle sue capacità, catalizzando le sue emozioni e quelle altrui in un unico condotto mentale, ed essere il più lucida possibile nel combattimento. Se poi si aggiungeva anche Will nella lista...
Tuttavia, Beatrix sapeva benissimo cosa il suo amico fosse e quale lato oscuro si celasse dietro la sua indole da furfante: era il figlio bastardo di una Kitsune.
Kitsune, o semplicemente Demoni Volpe, sono prevalentemente fanciulle di folgorante bellezza, che possiedono qualità innate, come poteri illusori in grado di penetrare nelle visioni oniriche delle persone, il controllo del fuoco, la possessione corporea attraverso le unghie o i seni della donna prescelta, tecnica meglio conosciuta come Kitsunetsuki, e la capacità di mutare il proprio aspetto. Nella loro forma tradizionale le Kitsune sono rappresentate come volpi dal manto bianco, aureo o argenteo con più code, le quali denotano la specifica elevatezza delle loro doti. Molto spesso i Demoni Volpe seducono gli umani e sfornano nascituri ibridi che ereditano uno di questi particolari poteri demoniaci. Will non ha mai conosciuto il suo vero padre. Però sua madre gli aveva rivelato che non era umano. Era un Eversor, un potente Demone Distruttore, che si dilettava a suscitare controversie, imbrogli, malattie e guerre tra stati, popoli e clan di varia natura. Negli Inferi si vociferava che fosse stato proprio il padre di Will a scatenare la peste bubbonica nell’Europa del Trecento, a riversare l’odio dell’Inquisizione nei confronti delle presunte streghe mandate al rogo, strangolate o impiccate barbaramente, a sollecitare i desideri espansionistici di Luigi XIV, e a scatenare la pazzia in numerosi personaggi del passato come Caligola, Nerone, Domiziano e Hitler, che passarono nella storia nel peggiore dei modi.
Fortunatamente, Will aveva mantenuto la sua forma umana dalla nascita, altrimenti andare in giro con un paio di code sul sedere sarebbe stato molto imbarazzante. Ma un pizzico della personalità sia del padre che della madre non gli mancava di sicuro. D’altra parte, Will non sarebbe mai arrivato a commettere simili nefandezze.
Beatrix era arrabbiata con lui per quello che aveva fatto con i lycan e i cacciatori, ma almeno l’amico non aveva causato la morte di migliaia di uomini solo per puro divertimento. Per questo aspetto, spezziamo una lancia a suo favore, concesse Beatrix.
<< Ragazza, hai tutte le ragioni di questo mondo per avercela con me. Ma, ascolta. Io...>>
<< Non mi tradiresti mai, vero? Beh, Will, lo hai fatto! Tu non... non puoi rischiare la tua vita in questo modo. Io ti ho protetto tutte le volte che hai combinato i tuoi soliti casini... Ma perché poi ti sei rivolto ai lycan? Non è prudente essere alla loro mercé e tu lo sai benissimo! Diventare un protetto di un altro demone comporta pochi privilegi e migliaia di rischi indicibili! Se avevi dei problemi, anche economici, bastava chiedere. Invece no! Stupido orgoglioso che non sei altro! >>. Il suo disappunto si stava trasformando in qualcos'altro. Preoccupazione? Per Will?
<< Oh, gioia, è per questo che vuoi spappolarmi il cranio? Perché eri in sovrappensiero per me? >>, tirò a indovinare Will, che ormai era sicuro che il peggio fosse passato. O almeno lo sperava.
<< Lo so che non è facile frenare alcuni istinti naturali. Io solo la prima che a fatica ci riesce, ma questo non significa che devi fare gesti da immaturo e prendere la nostra amicizia, buttarla nel water e tirare lo scarico! Un minimo di comprensione, Will. Non ti chiedo tanto! >>, spiegò Beatrix imperterrita.
Will-Billy fu avvolto da un alone rosseggiante, della stessa colorazione del sole morente del tramonto, e la sua pelle, se prima raggrinzita e coperta da una peluria grigia, divenne candida come una superficie di porcellana. I suoi lineamenti ritornarono aggraziati e sprezzanti, e il suo viso smunto, con sopra abbozzata una smorfia di agitazione, fu il primo carattere di Will che a Beatrix risultò particolarmente lampante e riconoscibile. Il demone, con la sua giacca di velluto marrone forata in più punti per via degli spari schivati, trascinò il suo profumo di dopobarba e sapone ai lamponi, mentre si avvicinava circospetto alla sua migliore amica. Lui era un Eversor-Kitsune e, doveva ammetterlo, aveva ottenuto solo benefici da questa singolare unione. Ma Beatrix, una creatura così bella, tenace e determinata nella sua missione di vita, portava un fardello di una gravità insormontabile, e Will non riusciva a immaginare la propria mente come un centralino telefonico aperto al pubblico. Sarebbe stato troppo stressante per lui.
Will diminuì la distanza tra loro e vide il respiro accelerato della ragazza che faceva danzare i suoi seni piccoli e lattei, e il tremore del suo labbro inferiore fece dischiudere soavemente la sua bocca. Le sue lunghe ciglia sbattevano sempre più lentamente contro le sue guance cesellate, ed era impossibile non accorgersi dell’evidente sfinimento della ragazza. Beatrix per poco non sveniva per terra se Will non l’avesse afferrata prontamente.
<< Ehi, ragazza, che ti succede... >>, le sussurrò il mutaforma, tenendosi stretto il flessuoso corpo dell’amica che già dava segno di rinvigorimento.
<< Nulla. Sto bene. >>, mentì Beatrix con voce flautata, respingendo l’abbraccio di Will. Però il suo gesto di rifiuto sembrò colpire Will più di quello che la ragazza si aspettasse. Il suo risentimento si insinuò in Beatrix come se le avessero tirato uno spietato manrovescio.
<< Scusa, non volevo... Grazie per avermi presa. >> L’Incantatrice si meravigliò della sua lingua impastata e della sua gola riarsa. Si umettò le labbra screpolate e sentì il sapore inconfondibile del sangue.
<< Siediti, Beatrix. >>. Will cominciava a considerare che lo stato di salute dell’amica non fosse del tutto ottimale.
Ma la ragazza scosse la testa, sottolineando il “no” che uscì dalla sua bocca con un debole mormorio. Andò vicino al bancone e si riempì un bicchiere pieno di succo di frutta tropicale, pensando che qualche vitamina fa sempre bene al fisico indolenzito.
<< Da quanto tempo va avanti questa storia, e perché non me lo hai detto? >>, la incalzò Will impazientemente.
<< Non dovrei essere io quella inalberata, o sbaglio? >>. Beatrix trattenne una risata e tirò la testa all’indietro, mantenendo sul palato il retrogusto del mango e dell’ananas del drink appena bevuto.
<< Ok, messaggio ricevuto. Non mi devo preoccupare inutilmente. >>
<< Esatto. >>, confermò Beatrix, spavalda.
Will prese a formare un cerchio intorno a lei, camminando a piccoli passi e impasticciandosi le mani nervosamente.
<< Va bene. Cercherò di non combinare mai più guai e di tagliare i ponti con i lycan definitivamente. >>, promise Will, una vera volpe di nome e di fatto.
<< Non fare promesse che non puoi mantenere, specialmente con me. Il mio popolo era molto legato ai giuramenti, e una volta fatti, non bisognava infrangerli. Stai attento. >>, lo apostrofò Beatrix con tono roco.
<< Sono a conoscenza della potenza della tua gente. Ci sono molti libri, documenti e leggende sul vostro conto. Ne ho letti molti. E sono consapevole di quello che dico. Ergo, rinnovo la mia promessa. Giuro di rispettarla sul mio cuore di demone. >>, Will raccolse una mano di Beatrix e se la pose sul petto, per rendere ancora più vere le sue parole.
<< Vedi di non deludermi, campione. >>. L’Incantatrice, con l’altra mano libera, diede un tenero buffetto all’amico. Ormai i loro disguidi si erano placati, ed era ritornata l’aria serena di un tempo.
<< Allora, ragazza. Sai che giorno è oggi? >> la interrogò lui, irradiato da tanto buonumore.
<< Uhm… sabato? >>, rispose lei meccanicamente.
<< No, mi riferivo al felice anniversario che si festeggia il 16 ottobre alle undici e ventitre minuti ogni santissimo anno. Dai su, indovina! >>
Beatrix rimase traumatizzata dalla contentezza sopraffina di Will. Poi, ricordando perfettamente a quale occasione l’amico stesse alludendo, alzò gli occhi nella direzione di quelli chiarissimi di Will, ammiccando.
<< È il giorno in cui io ti ho salvato il culo da un branco di Demoni Sabbia, che ti stavano risucchiando in un buco nero, e tu in cambio mi hai regalato la tua moto nuova di zecca. E così che ha avuto inizio la nostra piccola avventura, eh? >>
Il primo incontro con Will era una vicenda ancora vivida nella sua mente. Ricordava lo stupore del suo futuro amico non appena la vide in volto la prima volta. Will era legato ai polsi da una catena strettissima e, per settimane, nonostante fosse un demone, portò il segno delle escoriazioni da essa provocate, profonde come un marchio indelebile. Beatrix affrontò ed eliminò i Demoni Sabbia, che stavano evocando con il loro Potere un buco nero, una voragine oscura dove regna il nulla. Nessuno è mai tornato incolume da lì, ma qualunque sia la sorte di un uomo dopo esservi entrato, non sarà certamente favorevole. E l’Incantatrice non sapeva chi fosse il poverino appeso alla parete, moribondo ed esangue, e qualunque sia stato il motivo per il quale salvò Will da morte certa, lei si adoperò a soccorrerlo. Beatrix lo aiutò a rimettersi su e gli slegò i polsi, offrendogli la propria spalla a mo' di stampella per farlo camminare. Will aveva la vista ovattata, ma non scorderà mai la luminosità degli occhi dell’Incantatrice che parevano le uniche ancore di salvezza in un mondo fatto di tenebre.
Non presero subito confidenza. Beatrix era intenta a medicargli le ferite, con dolcezza, e lo faceva in modo molto abile, come se curare un ferito fosse il suo mestiere. Ma Will, quando la scrutava intensamente, si chiedeva se quella misteriosa ragazza sapesse che lui era un demone e se conoscesse la sua occupazione di contrabbandiere d’armi. Ma resosi conto delle frecciatine di interesse che Beatrix mandava alla sua moto piazzata in un angolo, cominciò a scoprire sempre di più sulla sua meravigliosa salvatrice (come la sua passione per i motori), e ben presto l’amicizia sarebbe stata la cosa più bella che gli fosse capitata nell’arco di secoli.
<< Sono passati già due anni... Dio mio! Propongo un brindisi! >>, trillò lui fremente.
<< Tu sei tutto scemo. >>, mugugnò Beatrix che lo seguì a un tavolo e, sollevando a mezz'aria il bicchiere colmo di altro succo, celebrò con lui quello che fu un passo decisivo nella sua vita, una svolta inaspettata. Il legame con Will fu per l’Incantatrice un salvagente lanciato in mare proprio nel momento in cui aveva terribilmente bisogno di un conforto morale e fisico. Beatrix necessitava di una presenza ben definita nella sua esistenza, e Will lo rappresentava a pieno, anche con i suoi innumerevoli difetti, continui traslochi e menzogne. Essendo in parte un Eversor , Will non provava soddisfazione se non provocava qualche guaio, anche se innocuo.
<< Ora stai meglio, Beatrix? >>
La ragazza gli ricordò sorridendo che non doveva più rivolgerle quella domanda. Era stato un momentaneo mancamento, un semplice capogiro. A chi non capita?, aveva scherzato lei. Ma lui non ne era del tutto convinto. Il volto di Beatrix era pallidissimo e Will non sopportava di vederla in quello stato.
<< Vieni. >>, le disse prendendola per mano, << Avrai l’onore di essere la prima persona della Terra che abbia mai visitato il mio laboratorio di San Diego! >>
Beatrix allacciò il suo braccio intorno a quello di lui, sia per sorreggersi che per assecondare il passo svelto dell’amico.
Usciti dalla porta blindata laterale, Will la condusse in un piccolo abitacolo che affiancava l’Exotic Cafè. Aveva un tetto rosso diroccato e varie crepe tangenti tra loro rovinavano l’intonaco che ricopriva le pareti esterne della casupola, brune alla luce della luna.
<< Gesù, è questo il tuo laboratorio, Will? >>
<< No! >>, esordì Will come se Beatrix avesse detto una bestemmia. << Aspetta e vedrai. >>
La condizione della baracca non era migliore all’interno. Ma Beatrix focalizzò la sua attenzione su una botola di ferro rotonda come l’oblò di una nave che si trovava in fondo a destra.
<< Di qua. >>, le suggerì Will che, inginocchiandosi al lato di quella strana apertura, recuperò un mazzo di chiavi tintinnante dalla tasca dei pantaloni. Dopo cinque giri la serratura si aprì, e Will sollevò il peso della porta che precipitò all’indietro con un tonfo sordo.
<< Prima le signore >>.

sabato 26 dicembre 2009

Capitolo 4 - Le ali della libertà




Era quasi ora. Sonja lo sentiva attraverso il ticchettio delle lancette dell’orologio a pendolo appeso su una parete del lungo corridoio del suo castello. Erano passate due settimane dall’ultima volta, e oggi sarebbe accaduto di nuovo. Era da quando aveva otto anni che questo peso gravava sulle sue spalle, stordendola come se una granata assordante le perforasse i timpani.
Tic, tic, tic…
Un altro minuto e un altro secondo scivolarono via.
I pori della sua pelle cominciarono a dilatarsi e il sudore le impregnò il coletto della sua camicetta verdemare preferita, che metteva esclusivamente nelle occasioni importanti. Certo, era uno spreco indossare proprio quella maglietta di cui sapeva benissimo la fine che avrebbe fatto, ma non le importava. Era come la coperta di Linus: Sonja non poteva farne almeno, sentiva il bisogno di essere accarezzata dalla delicata flessuosità della seta sulla sua pelle nuda, specialmente in quegli attimi di totale solitudine e di irrefrenabile desolazione. Forse poteva sembrare stupido e infantile, ma vero. Su questo Sonja non aveva peli sulla lingua.
Tic, tic, tic…
Un altro minuto.
Le tenebre del crepuscolo iniziarono a imporsi vincitrici sulla città di San Diego, ancora illuminata dalla fioca luce del sole che ormai era un minuscolo cerchietto arancione che sprofondava all’orizzonte.
Sonja era a un passo dall’esplodere: voleva uscire da quella prigione dorata in cui viveva, salire sul monte Everest e gridare al mondo “Perché io? Perché proprio io devo subire un destino così crudele?”. Ma Sonja sapeva benissimo che a queste domande non c’era risposta, e che nessuno, in qualunque emisfero della terra si trovasse, avrebbe potuto salvarla. Nessuno avrebbe voluto.
Tic, tic, tic…
La pioggia scese sulla cittadina spaccando il cielo con un boato, e le gocce picchiettarono una ad una sul tetto e sulle finestre, veementemente.
La sua stanza sarebbe stata completamente buia se non vi fosse penetrato qualche sfuggente raggio luminoso, creando vari ghirigori argentei sulle pareti rosa antico.
Girandosi intorno, Sonja sospirò e decise di stendersi sul suo comodo letto a baldacchino per riflettere. Ma questo era il problema: pensare a che cosa? A quello che sarebbe diventata non appena l’oscurità l’avesse raggiunta completamente e a come avrebbe gironzolato da un quartiere all’altro senza una meta ben precisa, come un’anima in pena?
No.
Voleva che nella sua mente apparissero immagini felici, come quelle che ti augureresti sempre e a cui sorridi al solo pensiero. Ma la sua vita era più complicata di quello che sembrava. Da quando era in fasce, aveva sempre vissuto nella corte del Sole, invidiando le teenager del XXI secolo che possedevano una spensieratezza che Sonja non avrebbe mai sfiorato, ma solo gustato nella sua più fervida immaginazione. Lei non potrà mai ricambiare il calore di altre dita avviluppate alle sue, non potrà mai muoversi senza scatenare ventate gelide al suo passaggio, ma dovrà regnare come è giusto che sia, come vorrebbero le fate della sua corte. O almeno una buona parte. Faceva tutto parte di un ingiusto disegno stabilito anni prima della sua nascita.
Accidenti, era o no anche lei una ragazza del nuovo millennio? Era possibile che qualcun altro doveva prendere le decisioni al suo posto e lei doveva restare semplicemente a guardare senza ribellarsi ed afferrare le retini del suo destino?
Mentre nella sua testa zampillavano questi pensieri tutt’altro che allegri, sentì due grandi mani coprirle le spalle. Quel contatto bollente le scosse un brivido lungo la schiena, sciogliendo le farfalle che si erano annidate nel suo stomaco.
<< Principessa, è il momento. >>
<< Lo so, Owen, lo so… >>
Nonostante la sua aria affranta, Sonja tirò le sue labbra per formare un sorriso stentato.
Owen reclinò il capo, nascondendo la sua espressione imbarazzata e sorpresa. Chiamandolo “Owen” e non “Eoghan”, aveva infranto una delle regole fondamentali della corte del Sole, dove il mantenimento della tradizione e, di conseguenza, dei nomi affibbiati dai propri genitori era fondamentale. Per lei Owen sapeva di moderno, ed era meno antiquato di Eoghan. Ma la loro corte era un ambiente corrotto e pericoloso, e la giovane era ancora molto inesperta in queste pratiche. Non sarebbe sopravvissuta a lungo in quella fossa di leoni. Ed era per questo che Owen, o Eoghan che fosse, aveva il dovere di proteggerla. Mantenere in vita la sua gracile principessa, persa in quella nuvola di capelli biondi che circondava il suo viso a forma di cuore, era la sua missione. Per secoli la sua spada aveva inflitto morte e sofferenza a tutti i nemici che gli si erano schierati contro, e solo pronunciare il suo nome evocava terrore e panico tra la sua gente. Ma di fronte a Sonja, la sua corazza fatta di arroganza e prepotenza cedeva.
<< Owen, apri le finestre, per favore. >> chiese gentilmente Sonja, staccandosi dalla ferrea stretta di lui.
<< Come volete, principessa. >>
<< Oh! Quante volte te lo devo dire. Chiamami Sonja! >>
<< Principess…>>
<< Ah! Ho detto di chiamarmi Sonja. Se vuoi, consideralo un ordine. >>. Il suo tono aveva abbandonato quasi del tutto la tristezza che le aveva incupito l’animo pochi minuti prima. Quasi.
Con un inchino, Owen si allontanò, accostandosi agli infissi color mogano delle finestre. Spalancò le persiane e la luce della luna si scagliò contro il suo volto, rischiarando i riflessi azzurri dei suoi capelli raccolti in una pettinatura a chignon. Un altro suggerimento di Sonja.
L’aria fredda schiaffeggiò il suo torace, riparato solo da una sottile camicia di cotone, e Owen, proprio in quel momento, avvertì la paura, tagliente come una lama, ghermire la sua dolce principessa. Non era per il freddo, perché lei era il Gelo fatto persona. Ma Owen voleva lo stesso stringerla tra le sue braccia, per farla sentire a sicuro, per farle capire che c’era qualcuno che sarebbe morto pur di regalarle quella vita “normale” a cui lei tanto anelava. Certamente non poteva pretendere molto da se stesso. Era comunque una semplice guardia del corpo reale (il suo rango non gli concedeva simili permissioni). Tuttavia, quello che sentiva partiva dal cuore e, per la Dea, l’avrebbe ammesso in presenza dello stesso re della corte del Sole, padre naturale di Sonja, se fosse stato necessario.
Però, quando si girò per rivedere ancora una volta gli occhi della ragazza riflettersi nei suoi, Sonja era già scomparsa come uno spirito fuggevole. Al suo posto, tra un paio di jeans e la sua prediletta camicetta satinata ormai bruciacchiati, emersero un becco dalla punta marrone e un frullo di ali piumate che si alzarono in volo e, fuori dalla finestra, condussero Sonja nel buio della notte, sotto le sembianze di una splendida aquila reale.

martedì 24 novembre 2009

Capitolo 3 - Angeli con la pistola









Nicia e i due sovietici erano stesi scompostamente per terra. Il primo un po’ qua, un po’ là, e i secondi erano rigidi come due ceppi di carbone nero. Morti.
<< Stupidi cani! >>
Beatrix avrebbe riconosciuto quel tono altezzoso ovunque.
<< Mark Turner. >> dedusse sospirando.
<< Oh, salve, Oceano… >>
Mark aveva tutte le giuste qualità che lo identificavano per quello che era: un cacciatore. Un completo abbastanza scuro per dileguarsi nel buio della notte, una corazza rinforzata, una scimitarra fissata nel fodero dietro la schiena, una collezione di shuriken, armi da lancio a forma di stella con quattro punte, sparsi nei posti più agevoli per facilitarne l’estrazione.
Per molti era Il Cacciatore. Spietato. Incorruttibile. Determinato. E chi poteva essere stato così abile da far cadere in una trappola ben costruita un branco di licantropi assassini? Mark, ovviamente.
<< Beatrix Miller in un postaccio simile. Però, non ti facevo così... trasgressiva. >>
<< Nemmeno io. >> ribatté lei secca.
Mark mise le mani dietro la schiena e raggiunse Beatrix a grandi passi, che intanto non aveva ancora rinfoderato i suoi pugnali. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
La ragazza se lo ritrovò a pochi centimetri dal suo naso, e lui le delineò il contorno del viso con un dito, soffermandosi sui generosi gonfiori dei suoi zigomi su cui facevano ombra due folte mezzelune nere.
<< Sei sempre la più bella tra dee, Beatrix. >>
<< E tu sei sempre il più bugiardo adulatore tra i cacciatori. >>
Mark elargì un sorriso malizioso e accattivante allo stesso tempo, che evidenziò la lunga cicatrice incavata che gli deturpava la guancia destra. Beatrix non seppe mai come se la fosse procurata, e non glielo avrebbe sicuramente chiesto. Una sconfitta, anche se lieve, intacca sempre l’orgoglio maschile, ma soprattutto quello di un guerriero superbo.
<< Mark, che ne facciamo di questi due? >> Una donna, una cacciatrice, giovane dal timbro di voce e dal fisico atletico e asciutto, puntava un grosso fucile alle tempie dei licantropi sopravvissuti alla colluttazione.
<< Portiamoli via e vediamo cosa possono dirci di interessante. Per oggi la festa è durata fin troppo. >>
Un altro gruppo di cacciatori si accostò alla Shee, che simulava una morte apparente con grande talento teatrale. Nonostante il suo petto non si alzasse su e giù per respirare, Beatrix avvertiva le preghiere di supplica rivolte alla Dea che Sheila salmodiava mentalmente.
<< Mark, tienila d’occhio. È pericolosa. >> Beatrix indicò con un gesto la Leanhaum-Shee, che si copriva innocentemente il grembo smembrato per evitare che le sue interiora si riversassero sul pavimento.
Gli avvertimenti di Beatrix erano chiari: Sheila era viva, e se nessuno se ne fosse accorto, la fata avrebbe sottratto al primo poverino disponibile le energie necessarie per compiere il processo di guarigione istantanea. A quel punto, gli sforzi di Beatrix di renderla inerme e inoffensiva sarebbero stati inutili. Con il suo glamour, Sheila avrebbe steso una buona metà della squadra di Mark, quella maschile, logicamente. Le cacciatrici erano forti, ma la Shee, furba e scaltra com’era, avrebbe sicuramente trovato un ingegnoso escamotage per fuggire. Beatrix ne era certa. Okay, non conosceva personalmente la fairy, a differenza di Will, ma chiunque si vede circondato dal proprio nemico, cerca di salvarsi la vita utilizzando ogni risorsa che riesce a cogliere. E Sheila non faceva eccezione.
<< Sheila Reynolds. Fata psicopatica, assassina, violentatrice e... Cos’altro c’era scritto? Ah, sì… fuggitiva. Il quadro diceva viva o morta. E possibilmente, preferisco la seconda possibilità. >>
Beatrix annuì, proseguendo: << Già. Sono tre secoli che Sheila manca alla Corte Oscura. Buttata fuori per le sue manie di grandezza… Ma c’è una cosa che non capisco: è evidente che Sheila ha trovato appoggio dai lycan. Uomini lupi poco capaci di mantenere la mente lucida creano un mix perfetto per adescarli nella sua ragnatela. Ma cosa centrano i vampiri e Will... Cioè William Parker...>>
Mark, guardandosi la punta degli anfibi, rispose con un sorriso sornione che gli acuì la sua cicatrice rosea.
<< Non devi nascondere la tua amicizia con “Will”. E chiamalo amico uno che ti tiene all’oscuro dei suoi loschi piani. Ti avverto. Non ti piacerà. >>
Beatrix strinse i denti. << Spara. >>
<< Tanto per cominciare, Nicolai, l’ex capo alfa di New York, l’ho ucciso io. Ero presente all’arredata sulla trentaseiesima. Anzi, per essere precisi, ero a capo della squadra. >>
La ragazza lasciò cadere le braccia sui fianchi, esausta. << Questo lo avevo intuito Mark, su, va' avanti. >>
<< La Reynolds aveva abbindolato un paio di lycan del clan di Nicolai, sollecitandoli alla ribellione. Si erano schierati dalla sua parte e avevano costituito un nuovo branco. E devo ammettere che è stata un’assurda novità vedere una tribù di licantropi capitanata da una fata schizzata dedita ai più perversi dei divertimenti! Blah! >>
<< Cos’è cacciatore, non sopporti l’idea che le donne vadano al potere? Non mi dire che sei così maschilista e villano! >> La ragazza sollevò le corvine sopracciglia arcuate e ricambiò quel lampo di malizia che stava lentamente riaffiorando nell’espressione facciale
del cacciatore.
<< Beh, vedrei benissimo una come te a occupare il posto di leader. A proposito, stavo giusto pensando…>>
Ma Beatrix lo interruppe prima che potesse aggiungere altro. << No, Mark. Finiscila. Parlami di questo problema più urgente, te ne prego. >>
Mark si rassegnò e gonfiò il torace muscoloso inalando più ossigeno di quello sufficiente per respirare.
<< Nicolai temeva di essere sopraffatto, capisci? Sheila stava radunando un branco che avrebbe di sicuro sconfitto il suo. Sarebbe stato un bagno di sangue. E così, noi cacciatori siamo dovuti intervenire. Non potevamo permettere che quei cani uccidessero persone innocenti anche per puro caso. La notte stessa che ho saputo dove Nicolai e i vamp si sarebbero incontrati, li ho seguiti. È stato alquanto repellente assistere a una simile scena: succhiasangue e cani! Insieme per giunta! Nicolai non sarebbe mai sceso a certi livelli se non fosse stato costretto. Dicevano di voler attaccare i lycan nemici nel loro nascondiglio, nel pieno centro. E sai benissimo che, anche di notte, c’è molta gente per strada. Ma questo non avrebbe fermato i loro propositi. >>
<< Ma in tutta questa storia, i vampiri che cosa ne ricavavano? La divisione del bottino di guerra e un armistizio con i lycan? >>
<< Esattamente. Niente più scontri e ostilità, e fiumi di dollari nelle loro tasche. Ma Beatrix, questa situazione sarebbe stata momentanea. Non appena uno dei due fronti avesse fatto un passo falso, la loro “dichiarazione di pace” si sarebbe volatilizzata nel nulla. E lo dico perché è già successo, tempo fa. >>
Beatrix si concentrò sulle parole di Mark. Adesso tutto le parve più chiaro, ma Will che ruolo aveva in questo pasticcio?
<< E Will? >>
<< Parker è il rifornitore ufficiale… o meglio, era il rifornitore ufficiale di Nicolai, il suo protetto. E quando il suo branco si è diviso in due fazioni, il tuo caro amichetto ha fatto il triplo gioco: armi per Nicolai, per noi cacciatori e per Sheila. Anche se, probabilmente, William non sapeva neppure che dietro questo colpo di stato ci fosse la Shee, perché questa aveva fatto in modo che nessuno conoscesse la sua vera identità, oltre al suo branco. Doveva sembrare una semplice rivalità fra lycan. Le fate sono fatte così, dopotutto. Sono abili nel far credere che una menzogna sia verità indiscussa, anche se tecnicamente non potrebbero mentire, le bastarde... >>
Il cuore di Beatrix fu illuminato da una prorompente luce di speranza, seguita da un lungo sospiro di sollievo. Ricordando la faccia esterrefatta dell’amico quando aveva visto Sheila entrare trionfalmente nella sala del club, Beatrix aveva avuto una notevole prova della sua parziale innocenza. Parziale perché rimaneva comunque il problema che Will, per la centesima volta, le aveva mentito, facendole credere che lui aveva solo fabbricato comuni fucili per una guarnigione di cacciatori. Io progetto, fabbrico e vendo, le aveva detto. Per l’amico era una cosa normale, una ripetitiva routine quotidiana. Ma Beatrix ancora non riusciva a farci l’abitudine, e forse non sarebbe mai riuscita a capacitarsene.
<< Sheila anelava a un obiettivo ben preciso, Oceano. Ritornare nella sua adorata corte, e spodestare il re Kaamos una volta per tutte. Ma per fare ciò, ha esteso il suo esercito da New York a San Francisco, dove ha seminato discordia nel branco di Mallik, ucciso dal suo stesso vice, Nicia, che, come ho potuto felicemente constatare, hai dissezionato con tanta passione. Un tocco da maestro, sublime, fantastico…>>
Beatrix si prese la testa fra le mani e premette i pollici nelle cavità delle orecchie. Adesso basta!
<< Mark, odio ripetermi. Continua. E senza divulgare. >>
Mark rise spassionatamente come se l’esasperazione di Beatrix fosse la migliore barzelletta mai raccontata. Amava farla innervosire, così che il suo viso serico come un bocciolo di rose acquisisse un colorito più acceso, quasi fiammeggiante, in armonia con le sue labbra carnose e scure che ispiravano una bramosia di baci violenti, appassionati, avidi, famelici, inesorabili…
<< Ma è possibile che pensi solo a quello! Puoi cercare di essere un tantino più serio? >> lo rimbrottò la ragazza, che ne aveva fin sopra i capelli dei trucchetti del cacciatore da Don Giovanni incallito.
<< Scusa, scusa... Allora, dove ero rimasto... Mhm... Oh, sì certo. Dicevo... Avendo un numero proficuo di lycan, l’ultima cosa che le serviva per completare l’opera era avere un’armeria sufficientemente avanzata per poter sconfiggere i membri superiori della Corte Oscura. Come ben sai, le fate non si possono uccidere, ma Parker un piano lo avrebbe escogitato. Se non proprio uccidere il re, almeno ferirlo gravemente… Insomma, Sheila doveva mettere fuori gioco i suoi rivali, con ogni mezzo possibile e inimmaginabile.
E così la Reynolds ha rintracciato Will a San Diego, e l’ha messo sotto stretta sorveglianza. Non appena fosse rimasto solo senza alcuna protezione - come credevano questa sera se non ci fossi stata tu - i suoi lupi lo avrebbero preso e condannato ai “lavori forzati”, e nel frattempo i lycan avrebbero avuto la completa supremazia sulle più grandi metropoli del paese insieme alla Shee, ufficialmente la nuova regina della Corte Oscura. E soprattutto, i cani avrebbero avuto la loro chance di giocare con Will, torturarlo con immenso piacere personale, vendicandosi così del danno arrecato nei loro confronti, ovvero il contrabbandare armi con tutte e tre le parti. A quanto pare, per i licantropi il tradimento è lecito, ma non accettano di rimanere neutrali. Devi per forza prendere una decisione e schierarti. È la legge del branco. E Will, essendo un protetto, aveva il dovere di rispettarla.>>
Beatrix sentì improvvisamente la stanza rimpicciolirsi, l’aria divenire sempre più calda e asfissiante e la pelle tendersi come una corda di violino. Avvertiva una cappa opaca e infrangibile chiuderla dentro come un sudario. Nel locale vi si stavano addensando troppe dolorose rivelazioni, ma anche qualcos'altro. Mark e il suo melodramma sull’inaffidabilità dei lycan e sulla perfidia della Shee calcolatrice. Le cacciatrici, armate fino ai denti, e la loro accecante gelosia per un Mark pericolosamente preso da una prolissa, ma pacifica discussione con una bellissima ragazza dagli incantevoli occhi cristallini. Sheila e il suo tentativo di mettere in moto gli ingranaggi del suo cervello per svignarsela a gambe elevate, prima che i cacciatori la portassero via in una stanza di tortura. Will e i suoi imbrogli e le sue continue fanfaluche! Se Beatrix se lo fosse ritrovato proprio lì di fronte... Tra le sue mani... In quel momento... Perdio che gli avrebbe fatto!
L’Incantatrice si girò di scatto, e si diresse verso il bancone ormai penosamente distrutto, ma non trovò quello che cercava. Will era scomparso con la sua solita arte da prestigiatore. Era rimasto solo il piccolo Billy, ancora rannicchiato e tremante dalla paura.
Se non fosse stato per qualche lampada a conchiglia sistemata armoniosamente in cima alle pareti, per diffondere tutto intorno una debole luce rossastra, il buio sarebbe stato totalizzante. Ciò nonostante, le iridi dell’Incantatrice spendevano di un azzurro evidenziatore troppo intenso per poter essere considerato umano. Sembravano due lanterne a neon, come quelle del pub che davano il benvenuto ai clienti, con su scritto “Exotic cafè - Entrate e non ve ne pentirete”. Solo Billy Junior, il proprietario del locale, poteva inventarsi simili pacchianate.
<< Oh-oh. Abbiamo perso un amico. >>. Un accenno di risata da parte di Mark non fece altro che portare all’acme il nervosismo di Beatrix.
Lei serrò la mascella e si aggrappò alla spalliera di una sedia, scaricando tutto il suo peso su di essa e bruciandone i bordi con le unghie. Semicirconferenze nere si stagliarono minacciose su quel legno chiaro da quattro soldi.
Declinò il capo.
<< E dai, non fare così, Oceano. Lo ritroverai, non preoccuparti. >> Così Mark, subito dietro di lei, prese ad esplorare il ventre voluttuoso dell’Incantatrice, accarezzandone le delicate linee dei fianchi anche sopra il tessuto di cotone beige. Era sul punto di strapparle i vestiti di dosso, o almeno quello era il pensiero fisso di Mark, che già osannava la pelle morbida di lei quasi sotto i suoi polpastrelli.
Beatrix, avvampando, lo scansò con violenza. Mark incespicò e indietreggiò di due passi, ma recuperò l’equilibrio senza sforzo.
<< Ma chi ti credi di essere? Il tuo fascino tenebroso da cacciatore con me non attacca! >> gli urlò contro, incapace di controllare i suoi istinti.
Insieme ai suoi rimproveri, un roboante tuono scosse le fondamenta dell’edificio come una violenta scossa di terremoto. Un lampo zigzagante tagliò il cielo stellato come una stoccata di spada, e preannunciò uno scrosciate acquazzone, che da lì a poco si sarebbe abbattuto sulla città di San Diego. Era inevitabile, a meno che Beatrix non riprendesse il controllo di sé.
Combatti! Combatti! E senza paura… Ricorda chi sei… Scava nelle profondità del tuo essere… Trova la forza, il tuo Potere, il nostro Potere. Non ti arrendere, Beatrix. Afferralo, mutalo, padroneggialo.
Gli ammonimenti della sua mentore riemersero come la punta di un iceberg dalla sua memoria. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva udito la sua voce, o soltanto sfiorato il suo volto. Era stata abbandonata in questo mondo dopo che la sua guida se n’era andata via per sempre. Ma Lei, talmente divina, talmente perfetta, sorridente da non sembrare vera, le aveva dato in cambio un dono che molti altri non rifiuterebbero mai.
La vita.
Il suono di quelle due semplici, sciocche sillabe sedarono una pericolosa catastrofe da “The day after tomorrow”, e tutti, compresa Beatrix, ne furono estremamente grati.
<< Okay. Mi dispiace Oceano, non avevo intenzione di farti arrabbiare fino a questo punto. Ma se vuoi un aiuto, ti potrei dare un consiglio per il tuo leggero problemino di autocontrollo. >>
<< Non c’è una soluzione al mio “leggero problemino”, Mark. Questo è ciò che sono, e neanche il più abile stregone dell'universo può cambiare la mia natura, buona o malvagia che sia. >>. C’era rassegnazione nel tono della sua voce, mista a una silente manifestazione di sofferenza. Nessuno, specialmente Mark, avrebbe potuto capire la sua situazione, perché nessuno aveva il suo Potere. Beatrix era davvero sola, e letteralmente unica nel suo genere. Quello della sua mentore era un ricordo che Beatrix non voleva che sbiadisse nel tempo come il colore di una vecchia fotografia. Le rimaneva solo quello a cui sostenersi, a cui sorreggersi, per avere la sicurezza che un giorno, anche se lontano, Lei sarebbe tornata a riprenderla e a portarla via con sé. Finalmente.
<< Mark! >>. Un richiamo imponente riportò l’attenzione di Beatrix sulla sagoma allungata di una cacciatrice alla sua sinistra. << Non dovresti fidarti di lei, andiamocene via. >>
<< Decido io quando è il momento di andare, Sydney. E non ti affannare più di tanto, zuccherino. Io e il mio Oceano siamo soliti avere questo tipo di conversazioni. >>
L’occhiata desiderosa di Mark fu tutta per Beatrix, che nel frattempo si dava della dannata stupida per aver perso la pazienza così facilmente. Si allenava giornalmente proprio per evitare tali episodi. Ma Mark con quella sua faccia da schiaffi non poteva non far emergere il suo lato peggiore. Nemmeno Will le faceva un simile effetto.
<< Oh Gesù mio. La smetti di chiamarmi così? >> La ragazza si apprestò a riprendere fiaccamente la sua giacca di pelle, che giaceva per terra immacolata, senza tracce di sangue o qualche altro materiale organico, e un fermaglio scarlatto abbastanza grande da poter contenere i suoi tempestosi capelli ricci e neri. Per fortuna, nessun danno.
<< Il suo volto era un letto di chiome,
Come fiori in un prato
La sua mano era più bianca dell'olio
che bruciando alimenta le luci sacre.
La sua lingua era più tenera
dell'armonia che oscilla nelle foglie
chi l'ascolta può rimanere incredulo,
ma chi ne fa esperienza crede.
>>
Baetrix rimase paralizzata e stupefatta. << Da quant’è che sei un amante di Emily Dickinson? Non ti ci facevo.>> Mark Turner e la poesia erano come due sentieri nettamente opposti, due anime incompatibili, il diavolo tentatore e l'angelo custode, un uragano distruttore e un placido ruscello... Come era possibile?
<< In pubblico posso anche essere il crudele cacciatore di sempre, ma in privato, beh, ho il mio libero arbitrio. E poi… Cosa c’è di meglio degli idilliaci versi della Dickinson per descrivere un codesto splendore femminile? >> Il cacciatore si fece più vicino, come le sue ampollose lusinghe, ma aveva capito la troppa presa emotiva che aveva su di lei. Una fascia luminosa di qualche centimetro li divideva come se stesse marcando una barriera territoriale.
<< In privato, eh? Sai Mark, questa tua affermazione mi ricorda tanto il capitan Shakespeare. La sua fama di essere il più aggressivo pirata dei mari smentita dal suo temperamento poco maschile: collezionare vestiti da donna e ballare il can can con tanto di ventaglio in pizzo e un neo a forma di cuoricino si può anche fare, purché nessuno lo scopra. >>
Il cacciatore incrociò le braccia al petto e assunse una posa poco rilassata.
<< Mi stai forse elegantemente dando dell’effeminato? >>
Beatrix gli regalò uno di quei tanti sorrisi giulivi che a Mark piaceva particolarmente elogiare decantando famose strofe liriche.
<< Ma certo che no. È solo che gli uomini sensibili mi sono sempre piaciuti, e quindi apprezzo questa tua passione letteraria affine alla mia. Tutto qui. >>
Mark le impedì di voltarsi per raggiungere l’uscita principale, sbarrandole la strada con la sua considerevole altezza.
<< Hai perfettamente ragione, Beatrix. Io e te siamo molto più simili di quello che pensi. Abbiamo gli stessi... impulsi. >>
Beatrix sentì il suo volto in fiamme. << Impulsi? Che vuoi dire? >>
<< Ti ho vista, mentre combattevi. A me accade la stessa identica cosa. Quella nebbia che ti offusca la vista, l’adrenalina che ti pompa nelle vene, la smania di vincere, la consapevolezza di essere superiore a chiunque duelli con te… il piacere dell’uccidere. E non venirmi a dire che poco fa hai fatto a pezzi quei due solo per salvare il tuo subdolo amichetto, perché non me la bevo. >>
L’Incantatrice si rese conto di aver stretto eccessivamente i pugni, perché un liquido caldo iniziò a striarle di rosso cremisi le spanne delle mani.
<< Non è vero. >> Non erano singhiozzi quelli che accompagnavano la sua voce. Non ancora.
<< Sì che è vero, Oceano. Se solo ti unissi a me, insieme potremmo fare grandi cose. Sei un portento, e non puoi combattere da sola questa battaglia. >>
Traduzione: combatti per me, Beatrix, e sii mia. In tutti i sensi.
<< Io uso il mio Potere. Sacrifico ogni misero giorno della mia esistenza per salvare vite innocenti, come te, Turner. E sto bene dove sto. Ma lo sai qual è la vera differenza tra noi? Lo sai? >> Beatrix non attese tanto a lungo per sibilare: << La differenza è che tu
sei libero di ritenere che io sia un’assassina senza scrupoli. Ma nonostante ciò, cacciatore impeccabile dei miei stivali, non sarai mai mio eguale. Hai decisamente ragione: sono pienamente consapevole della mia superiorità. >>
Detto questo, attraversò con indifferenza gli sguardi arcigni delle cacciatrici puntati su di lei, e chiuse violentemente la porta alle sue spalle. Non poteva darlo per certo, ma Beatrix era sicura che Mark stesse impugnando uno
skuriken stellato, pronto per un lancio fulmineo e fatale.

sabato 14 novembre 2009

Capitolo 2 - L'inferno è per gli eroi


Nel centro della pista da ballo, corpi in preda al delirio e all’alcol si dimenavano in danze scatenate e suadenti, formando una massa indistinta, un vortice omogeneo e mulinante. Alcuni alzavano le mani al cielo, altri si scompigliavano i capelli muovendo le dita lentamente sulle loro teste, altri ancora si strusciavano l'uno con l'altro, facendo aderire i loro petti e scambiandosi illecite effusioni. Le luci stroboscopiche coloravano le pareti bianche e nere, e i colpi dei bassi rimbombavano nelle vene e nelle tempie dei presenti, al ritmo di “Survive” dei Lacuna Coil.

Sometimes I feel alone in a million crowd
An outside wandering alone without
Any words to say they can’t explain
The desire to overcome the pain
Feel the breath that’s always getting away
Am I dreaming it all? I will never be afraid
I’ll survive in this nothing leading nowhere
I’ll survive feeling stronger for how much longer?
I’ll survive in this nothing leading nowhere
I’ll survive, survive


Per Beatrix quelle parole non potevano essere così tremendamente appropriate.
<< Mi dici in che guaio sei finito questa volta? >> chiese la ragazza accomodandosi su un gelido sgabello di fronte al bancone del bar.
<< Niente. Niente. Non preoccuparti. È tutto ok. >>
<< Tutto ok?! Forse Will non hai capito la gravità della situazione. Quei tizi laggiù hanno la seria intenzione di farti fuori. All’istante. Mi vuoi dire che cosa hai combinato, mhm? >>
Erano almeno dieci minuti che cinque uomini dalla corporatura massiccia tenevano gli occhi fissi su Will, che raggiunse Beatrix al tavolo e si appollaiò sullo sgabello al suo fianco. A prima vista sembravano giocatori di rugby professionisti, dalle spalle grosse e larghe e da bicipiti così gonfi, che mostravano i segni delle vene bluastre che serpeggiavano lungo le loro braccia come vipere viscide e striscianti.
<< Una Heineken per me e... Beatrix, tu che prendi? Offro io. >> . Will si stampò un’espressione ilare sulla faccia e mostrò la sua dentatura bianca e perfetta aperta in un sorriso a 360 gradi.
Beatrix sbuffò irritata e girò la testa in direzione del barista, che aprì la bottiglietta di birra con uno scatto e poi alzò lo sguardo in attesa della seconda ordinazione.
<< Un bicchiere d’acqua, per favore. >>
<< Acqua? Cristo santo, Beatrix. Per quanto ancora continuerai con questa storia. “Io bevo solo acqua. No alcol. No problem.” Mah. Un bicchierino non ti fa mica male. Devi provarci ogni tanto. >>. Così il ragazzo si attaccò alla bottiglia tirando giù lunghe sorsate. Quando ne ebbe finito una buona metà, notò che l’amica non aveva ancora toccato la sua “casta” acqua, anzi, di sottecchi, scrutava i movimenti delle belle cinque statuine.
<< Sono tre notti consecutive che vengono qui e si fermano in quell’angolo, senza parlare con nessuno o ordinare un drink. Se volevano uccidermi, l’avrebbero già fatto. Credimi. >> E a quelle parole, ingurgitò tutto di un fiato la birra rimasta e si deliziò sentendo l’intenso calore sprigionato dalla piccola percentuale d’alcol in essa contenuta. Bruciore allo stato puro divampò come un incendio nelle sue fibre vitali, pizzicandogli lievemente la gola.
<< Non lo so, Will. Il loro astio, la loro rabbia... Avverto di continuo sensazioni del genere, ma qualunque cosa tu abbia fatto, è stata grave, e quel che conta è che li hai feriti, nel profondo. Non molleranno mai. Non ti lasceranno mai in pace. Probabilmente ti tenderanno un’imboscata quando meno te l’aspetti e poi ti tortureranno e ….>>, inspirò e cacciò nuovamente l’aria dai polmoni, << Ce ne sono altri, là fuori. Non potrai nasconderti in eterno in questa topaia. Quindi, è evidente che ti serve il mio aiuto, se vuoi vedere l’alba di un nuovo giorno. Perciò ti conviene dirmi tutta la verità. Adesso. >>
<< Ma io…>> provò a dire titubante.
<< Canta, Will, canta. >> ribadì lei con fermezza.
Will si sporse sul ripiano del bancone, pose la testa sulla mano sinistra e si puntellò su un gomito.
<< Tempo fa, ho venduto le mie ultime creazioni a un gruppo di cacciatori di New York. Erano tre casse piene di mitragliette a gas con caricatori da 40 colpi e pistole con mirini Reflex in alluminio, precise e molto comode. Oh Dio, roba da niente, ma non mi sono chiesto a che cosa potesse servire un’artiglieria di questa portata. Certo, mi è parso strano che quattro gatti facessero una richiesta del genere. Ma, uhm… non fa parte del mio lavoro. Io progetto, fabbrico e vendo. I loro scopi non mi interessano. Sai come vanno queste cose. >>
Beatrix parve scettica. << No, non lo so. Illuminami.>>
<< Comprendo che non approvi quello che faccio. Ma cerca di capire. Devo pur vivere. Tu hai il tuo bel patrimonio di famiglia, e io? E poi scusami. Anche tu non sei una santa.>>
Su questo non c’è dubbio, pensò Beatrix. D'altronde, anche per lei il “servizio ” di Will era indispensabile. Costoso, molto costoso, doveva ammetterlo. Ma i soldi non le mancavano, e anche se il suo conto in banca fosse in rosso per qualche ipotetica disgrazia, Will avrebbe chiuso un occhio. Dai a Beatrix qualche gioiellino fresco di stampa, e la mandi subito in estasi. Ma c’era differenza tra negoziare con perfetti assassini, dediti al sadico gioco della morte, e farlo con una come lei. Will lo sapeva. Forse pure quei cacciatori avevano avuto delle nobili intenzioni. Ma il problema rimaneva a galla. Perché il più ricercato contrabbandiere d’armi del pianeta, nonché creatore di apparecchiature così supertecnologiche da far invidiare persino l’esercito dei Marines o i servizi segreti dell’FBI, aveva un intero clan di licantropi assetati di sangue alle calcagna? I lycan erano famosi per la loro labile perdita di senno, specialmente nel periodo del perilunio. In ogni caso, se c’è una cosa che non bisogna fare è intromettersi nelle loro questioni private. Quando è in atto lo scontro per la scelta di un nuovo capo alfa, è meglio prendere le giuste distanze.
Will riprese il discorso, dicendo: << Hai sentito di quell’arredata sulla trentaseiesima? Nessun sopravvissuto. I cacciatori sanno fare bene i cacciatori, quando devono. Ma chi poteva mai prevedere che a rimanere feriti mortalmente fossero proprio alcuni membri del consiglio del clan dei lycan di New York, di cui uno era al governo del branco? Cioè, che ci facevano lì, in mezzo a un covo di vampiri così pieno, da sentirci dentro la puzza di morto in scatola? >>
Beatrix raccolse il mento tra due dita, massaggiandolo pensierosa. << Beh, ad essere strano è strano. Ma io lo definirei… illogico. È risaputo che tra le due razze non scorre buon sangue, ma sicuramente quei licantropi erano lì per una ragione ben precisa. Hai detto nessun sopravvissuto? >>
Il giovane annuì con un cenno della testa, facendo oscillare la sua brillante treccia.
<< Nessuno. Hanno insabbiato tutto, prima dell’arrivo della polizia. Sai, non sarebbe tanto facile spiegare una cinquantina di cadaveri decapitati e smembrati in quattro e quattr’otto. Devo riconoscere che in questo i vampiri sono molto pragmatici: sanno pulirsi i panni sporchi a casa loro meglio di chiunque altro. >>. Il suo pomo d’Adamo vibrò per una risatina divertita.
<< E adesso i lycan si ritrovano senza guida, e i vampiri senza altre bocche da sfamare. E tu cha hai procurato il materiale occorrente ai cacciatori, sei ritenuto uno dei responsabili della carneficina. Bravo, davvero bravo. >>
Will aggrottò le sopracciglia, inebetito. << Se io avessi rifiutato, quei bastardi si sarebbero rivolti altrove e lo avrebbero fatto lo stesso. Quindi, la colpa non è mia. Punto e basta. >>
Beatrix avvertì la tensione che si stava creando tra i due. Non voleva litigare. Will era solo ostinato a rimane neutrale nell’epico scontro tra Bene e Male, non voleva rogne, come diceva lui. Ma gli ignavi non fanno mai una bella fine, in un modo o nell’altro.
A spallate, i cinque lycan si addentrarono nella mischia, che adesso saltellava sulle note di “Shoot the runner” dei Kasabian. Dai loro volti trapelava una fosca inquietudine, unita a un desiderio indescrivibile per qualcosa di totalmente alieno dal tradizionale cibo o dal sesso ordinario. Sangue. Erano affamati, e se fossero stati nelle loro forme animali, di sicuro rivoli di saliva bavosa sarebbero colati sulle loro mascelle pelose. Quale creatura della notte non avrebbe resistito a centinaia di deliziosi bignè su due gambe offerti così, su un piatto d’argento?
Si mossero a passi felpati, sempre più vicini, sempre più iracondi. Nascosti in quell’angolo buio, Beatrix era riuscita telepaticamente a captare segnali d’allarme dai loro animi, non abbastanza da poterli vedere chiaramente e fisicamente. Adesso, le luci cangianti dei riflettori roteavano convulsamente per tutto il locale, e colpivano a tratti le loro immagini, che si apprestavano a diventare sempre più visibili e particolareggiate.
L’uomo centrale indossava un semplice paio di pantaloni e una camicia bianca di flanella abbondantemente sbottonata in avanti, per permettere di contemplare i muscoli scultorei del suo petto. I due a sinistra erano come due gocce d’acqua: stessa carnagione olivastra, stesso mento spigoloso, stessa fronte alta, stesso taglio di capelli (ammorbiditi da una buona dose di gel e lacca fissante), stessi orecchini a piuma verde alle orecchie, stesso piercing sul sopracciglio sinistro e stesso gilet aderente che lasciava scoperte le braccia poderose. A destra, invece, altri due lycan erano coperti da lunghi soprabiti neri, e celavano la loro espressione impassibile con due paia di occhiali da sole più scuri della notte.
Tutti loro comunicavano un senso di pericolo attanagliante, soprattutto attraverso i loro occhi, famelici e leggermente socchiusi: erano concentrati sul loro bersaglio, intenti a memorizzare ogni punto letale da poter colpire con più facilità.
<< Qualunque cosa dicano, non ti intromettere. Vedo se riesco a cavarmela da solo. Capito?>> le ordinò Will.
Beatrix lo rassicurò: << Giuro di stare a guardare mentre ti riducono in una poltiglia sanguinolenta. Va bene così? >>. Pose una mano sul cuore e sollevò l’altra con il palmo aperto.
Il ragazzo roteò gli occhi spazientito. Perché la sua amica tendeva sempre a complicare tutto? La situazione non doveva per forza prendere una cattiva piega: con la diplomazia si può raggiungere ogni cosa, si ripeteva Will in queste occasioni. Ma fino a che punto la sua spudorata neutralità poteva salvarlo nuovamente?
<< William Parker. Qual buon vento… E' da tempo che non ci si vede qui, a San Diego. >> disse a denti stretti il tizio dai muscoli d’avorio.
<< Nicia, che onore. L’ultima volta che ti ho visto appartenevi al clan di Mallik. Cosa è successo? L’aria di San Francisco era troppo afosa per i tuoi gusti? >> commentò Will con fare zuccheroso.
Beatrix si coprì il volto con due mani, appoggiando i gomiti sul tavolo a cui sedeva.
Stupido, stupido, stupido...
<< Mallik era un debole. Adesso sono io ad avere il comando. Portami rispetto. >> sentenziò cupo. Se prima faticava a mantenere a bada la sua irritazione, ora le sue parole trasudavano qualcosa che non aveva nulla a che vedere con la cordialità.
Will si inumidì le labbra e lisciò la punta della sua treccia con due dita. Non distolse lo sguardo da Nicia.
<< Ma certo, amico mio. >>
<< Non siamo amici, Parker. >>. La sua frustrazione ribolliva a ogni secondo che passava, come una pentola a pressione che sta lì lì per scoppiare. << Sono venuto a portarti via con me. Non opporre resistenza. Dobbiamo solo chiarire alcune questioni, e poi ti lasceremo andare. >>
Ma Will prese a parlare con nonchalance, indifferente alle minacce appena subite. << Ah, quindi hai sfidato Mallik, che reputavi incompetente, l’hai ucciso in duello, sei diventato il nuovo capo clan di San Francisco e poi? Hai intenzione di estendere il tuo dominio su New York e San Diego? Non sarà tanto facile, amico mio. Da quel che so, Gavel rientra tra i licantropi più forti del paese, e non a caso è il capo alfa del branco di questa città da quanto? Sei, sette anni? E dimmi, nel caso ci riuscissi, come faresti ad essere in tre posti contemporaneamente? Mhm… Se vuoi dei luogotenenti, mi offro volontario. San Diego non è male. Credo che ci rimarrò per un bel po’…>>
<< Sei sempre così sarcastico, anche quando stai per rimetterci la tua meravigliosa pelle? >>. La vena del collo di Will si contrasse in modo innaturale e sobbalzò al suono cantilenante di quella voce.
<< Sheila, vuoi convincere tu il nostro piccolo chimico a seguirci? Non abbiamo tempo da perdere. >>. Nicia, come se volesse abbracciare un’intera platea di spettatori, stese le braccia e offrì cavallerescamente una mano alla seducente figura di donna che apparve alle sue spalle. Lei non la rifiutò. Avanzò a testa alta e fece dondolare il suo striminzito vestito color blu elettrico, cosparso di perline ramate che scintillavano come una cascata di diamanti e cherubini. Sembrava sfilare su una passerella di moda parigina, e i suoi fianchi ondeggiarono a destra e a sinistra, al ritmo dei suoi passi. I tacchi alti almeno venti centimetri parevano aiutarla in quella sua appariscente comparsa nel night club e non le davano il minimo problema di goffaggine o insicurezza. Anzi, i suoi movimenti scolpivano ancora di più le sue forme sinuose che completavano quel mosaico di bellezza.
<< Oh, mio tesoro, gli anni scorrono così in fretta! Ho ancora il ricordo del tuo… sapore e dei nostri piacevoli momenti… Eri fantastico, davvero unico. Che peccato che tu sia voluto andare via, lasciandomi tutta sola. Un vero peccato!>>. Sheila emise un risolino, come una gattina selvatica in procinto di fare le fusa.
<< Già, bei tempi quelli. Ma alla fine tutto finisce, non credi? >>. Beatrix, che fingeva di sorseggiare la sua bevanda senza prestare attenzione ai loro battibecchi, non poté non fare caso al cambiamento di umore dell’amico. Una folata di vento burrascosa. Un attimo prima beffeggiava i suoi rivali, ora li temeva, desiderando con tutte le sue forze di fuggire via, anche frantumando impetuosamente l’uscio. Solo che, se Will lo avesse fatto, si sarebbe rotto l’osso del collo.
<< Will caro, ce l’hai ancora con me per quella nostra piccola scaramuccia. Oh, su! Lo sai che sei sempre rimasto nei miei pensieri! >> esclamò Sheila con enfasi, facendo scorrere un’unghia laccata di rosso vermiglio sui suoi seni e poi sempre più giù, fino a solleticarsi l’ombelico, con l’indice puntato verso il basso ventre.
Will percorse il tragitto tracciato da Sheila sulle sue curve, mangiandosela con gli occhi. Nessuno poteva resistere al suo fascino ipnotico.
<< Smettila! Subito! >>, gridò esasperato, << Che cosa vuoi da me? >>
<< Non cambierai mai, chére! >>. Sheila rise di gusto, e nel farlo, non nascose un singolare baluginio all’interno della sua bocca: due zanne sottili e biancastre arrivarono a toccare il suo labbro inferiore, pungendolo. Con un guizzo della lingua, si ripulì le sottili striscioline di sangue e i due fori scomparvero nel nulla. Puff, come nuova.
Era una Leanhaum-Shee, signora delle fate irlandesi, famosa per la sua capacità di tessere tele di seduzione che, per migliaia di anni, ha usato per far cadere ai suoi piedi tutti gli uomini che desiderava. Ma giunti al culmine della loro passione, Sheila risucchiava le loro energie vitali, rendendoli dei manichini dalla pelle incartapecorita e fin troppo fragile che, solo sfiorandola, si sarebbe polverizzata. Will non poteva essere stato così incosciente frequentandola. E per questo che non sapeva controllare il suo nervosismo, come era solito fare? Proprio lui, Will il “simpaticone”? Era forse la sua presenza che lo spronava a ricordare i loro brevi tete-a-tete infernali? E dove l’avrebbe conosciuta? In Francia? Lui era vissuto per parecchio tempo a Parigi e, dall’accento di lei, era chiaro che anche Sheila aveva fatto altrettanto in quest’ultimo secolo. Beatrix si perse in quei mille interrogativi, pensando che Will sapeva essere un grandissimo stronzo, bugiardo e misterioso, quando voleva.
<< Amor mio, non stare sul chi vive. Vieni da me, chére, vieni da me…>>
Will sentì il Potere di Sheila correre sulla sua schiena e, arrivato al centro del suo cuore, ebbe l’impressione che le parole della Shee echeggiassero dentro di lui. Poi ci fu un’esplosione, calda e piacevole, e gli occhi d’ebano di lei, in contrasto con i suoi capelli ondulati così rossi, da sembrare una fiamma viva e distruttiva, lo immobilizzarono, rendendolo un unico pezzo di ghiaccio.
Quei formicolii erano scomparsi di colpo, per dare spazio a un dolore lancinante che martellava con perizia nella sua testa. Sheila si stava nutrendo della sua ninfa vitale, come una bambina capricciosa addenta voracemente una ciambella. Bastava solo il suo glamour, (l’incantesimo che fornisce alle creature fatate la facoltà di apparire umani), per fare di lui un autentico burattino devoto al suo comando.
Will cercò di urlare, ma ciò che uscì dalla sua gola fu un fievole rantolo.
<< Prendetelo. >> ordinò Sheila sogghignando. I cinque scimmioni non se lo fecero dire due volte. I due lupi gemelli si diressero verso l’uscita, accompagnati dalla Shee, che non riusciva ancora a contenere tutto quel glamour: dovette spargerlo un po’ in giro, suscitando la bramosia di molti uomini, che abbandonarono immediatamente le loro compagne di ballo per seguire quella bomba supersexy. Uno dei due lupi mannari in nero afferrò Will per la giacca, strattonandolo come un sacco di patate. << Idiot! >> ringhiò con voce baritonale. Ma prima di poter muovere un altro muscolo, qualcosa, o più propriamente, qualcuno, gli strinse abilmente il braccio sinistro, conficcandogli un paio di unghie con una leggera pressione.
<< Fermo. Non lo porterai da nessuna parte. >>. Beatrix a stento dominava il sangue che le saliva nelle vene, a tal punto da sentire la pulsazione accelerata nelle orecchie.
<< Lasciami! Bljad’! >> tuonò lui, senza mascherare la sua evidente cadenza russa. Era diventato rosso in viso, come se gli avessero lanciato una secchiata di succo di pomodoro fresco in faccia.
<< Chvatit! >> ribatté la ragazza. Beatrix ci sapeva fare con le lingue, grazie ai suoi continui viaggi per il mondo, ed imprecare in russo le riusciva così maledettamente bene. Un sorriso di sfida le uscì spontaneo sulle sue labbra tornite, nel vedere l’espressione meravigliata del suo troneggiante avversario sovietico.
<< Beatrix, no… Va via…>> annaspò Will, che a malapena si reggeva in piedi.
<< Per una buona volta, sta’ zitto! >>, sbottò Beatrix, che si tolse il cappotto di pelle che aveva indosso e lo lasciò cadere sulla prima sedia che si trovò davanti. Se doveva combattere, non voleva impedimenti. Soprattutto non aveva alcuna intenzione di rovinare la sua giacca preferita, neanche per fare un favore a Will. Con il mento dritto e volitivo, allargò orizzontalmente le gambe, in posizione d’attacco. Distese le mani lungo i fianchi, il più vicino possibile ai suoi pugnali sai, infilati in un apposito spazio degli stivali.
<< Oh, ma cosa abbiamo qui… Will caro, non sei abbastanza uomo da difenderti da solo, e ti fai aiutare da una povera ragazzina? >> lo canzonò Sheila, che era ritornata per godersi lo spettacolo.
<< Sheila, ti prego, farò quello che volete, ma non fatele del male, io non …>>
<< Non te lo perdoneresti mai… Non è così? Quindi, devo dedurre che questa insignificante umana conti molto per te? Mi deludi, chére. Sei sempre stato così egoista e disinteressato al tuo prossimo. Mi piacevi proprio per questo. >> Mossa sbagliata. Mai dare ai cattivi l’occasione di usare una tua debolezza, mai, si ammonì Will.
<< E sai, >> continuò la fata, << quando prima ho dato un breve assaggio alla tua essenza, stavo davvero riconsiderando la possibilità di riprenderti come mio amante, ma adesso, credo che non ne valga proprio la pena. Non è vero, ragazzi? >>, disse Sheila, ora rivolgendosi ai cinque lycan che ridacchiarono all’unisono, mantenendo la loro maschera di inumanità.
<< L’insignificante umana è disposta a rompersi la testa come meglio crede, e Sheila, per la cronaca, ti si è sbavato il rossetto, proprio qui. >>, le suggerì Beatrix con aria compiaciuta, grattandosi con un dito un lato della bocca. Non era ancora uno scontro d’armi, ma questo non significava che la ragazza non sapesse giostrare con classe anche in una gara di moda e make-up.
Una nota di invidia tinse di viola le guance appuntite della fata, che spruzzò glamour da tutti i pori, scaraventandolo violentemente contro Beatrix. Questa non poté far altro che rispondere con la stessa moneta: l’irrisione. << No, no. Non funziona. Il tuo Potere su di me non ha alcun effetto: io non sono un uomo. Ti consiglio vivamente di risparmiare le energie e di pensare a qualche altra strategia. Se vuoi. >>
Sheila grugnì, e il suo incanto a poco a poco svanì, mostrando il suo viso torvo minacciato da cerchi scuri intorno ai suoi occhi carichi di collera. Con un cenno, istigò i suoi lupi a prepararsi a uno scontro mortale.
Nicia estrasse da dietro i pantaloni una lama lunga quanto il suo avambraccio, mentre gli altri impugnavano pistole e pugnali sottili e lucenti sotto il rosso e il verde dei riflettori. Ma Beatrix fu più veloce. Saltò, roteando in aria con una capriola, e atterrò sul bancone trascinandosi con sé Will, ancora stordito e traballante.
Una raffica di colpi perforò il banco del bar, dietro cui i due avevano trovato riparo, e una nuvola di polvere da sparo e schegge di legna bruciata si gonfiò nell’aria, come se fosse grondante di pioggia.
Beatrix sbatté le palpebre, e volse la testa verso Will che rintracciò il suo sguardo.
<< Non c’è un’uscita secondaria qui dentro? >> gli domandò, sentendo i proiettili sempre più vicini alla sua carne.
<< Sì… Di là. >> rispose Will, indicando l’ala est del locale, opposta all’entrata principale. Stringeva con entrambe le mani la sua fiduciosa Beretta 92 e il metallo freddo lo rincuorò, regalandogli quell’afrodisiaco senso di sicurezza apparentemente perduto.
Beatrix fece per alzarsi, ma un proiettile le sfiorò i capelli da sopra. Perciò si rannicchiò su se stessa, e si chiese cosa diavolo Sheila stesse puntando nella loro direzione: era una specie di cristallo o un diamante cilindrico, che aveva formato grossi buchi neri sulla carta da parati e aveva ridotto in mille pezzi le bottiglie piene di alcolici sistemate sugli scaffali. Una pozzanghera di rum, whiskey e gin tonic inzuppò i pantaloni e la canotta beige di Beatrix. Maledizione!
<< Ma che cavolo ha quella in mano? >>
Will si sporse quel poco che gli bastava per vedere a che cosa Beatrix si stesse riferendo. Poi capì. Sheila aveva cacciato una sciccosa rivoltella dalla sua borsetta, che faceva pendant con il suo elegante vestito a tubino. Il guardaroba di quella donna sembra non avere limiti, opinò Beatrix mentalmente.
<< Ti riferisci alla rivoltella? >> le chiese Will, facendo aderire le spalle contro l’angusto angolino dietro di lui.
<< Mio Dio, è una pistola quella? Ma dove prende tutta quella roba firmata? >>. Una sfumatura di incredulità balenò sul volto della ragazza, che intanto si guardava attorno per inquadrare qualsiasi punto di fuga o appiglio su cui issarsi, senza venire colpita o, nel peggiore dei casi, uccisa a pistolettate.
<< Beh, le ho regalato quel gingillo quando stavamo ancora insieme. Ero convinto che dopo la nostra rottura l’avesse cestinato, o perlomeno fracassato a suon di morsi… Cristo… E' proprio strana la vita. >>
<< Con tutta sincerità, quale pazza rinuncerebbe a un oggetto simile? >>
<< Beatrix… >> Will si scosse a destra e a sinistra, sconfitto. << Vorrei continuare a chiacchierare, ma la situazione non è una delle più felici. Hai qualche idea geniale a proposito? Vorrei vivere per almeno un altro decennio. Chiedo troppo? >>.
La ragazza si era concentrata con molta diligenza su Will e sui lycan, però aveva completamente ignorato il panico che aveva avvinghiato i clienti del club, che si erano ammassati frettolosamente verso l’uscita di sicurezza, spingendosi a vicenda e calpestandosi i piedi. Will, invece, aveva i timpani staccati dal cervello per quante grida di disperazione aerassero intorno a lui.
Improvvisamente i lycan dovevano aver finito le cartucce dei caricatori, perché l'Exotic café fu riempito da un silenzio tombale, quasi inquietante.
<< Hai un accendino? >>, intervenne Beatrix con il cuore in gola. Ogni filamento del suo essere sembrava in fibrillazione: le intenzioni tutt’altro che buone dei lupi mannari e l'accanimento di Sheila nei suoi confronti la stavano bombardando con una forza tale da cristallizzarle il respiro. Strinse i pugni, sbiancandosi le nocche delle mani.
Uno, due, tre, quattro…
Calma.
Il sistema del conteggio funzionava sempre.
<< Cosa?! >>. Will non aveva la minima idea di cosa stesse frullando nella mente dell’amica. Per quale magica alchimia Beatrix gli stava facendo una richiesta simile?
<< Dannazione, Will! Un accendino, forza! >> Anche stando nascosta, negli occhi della ragazza due coppie di capillari rossi divennero più evidenti e marcarono il confine di una imminente crisi di nervi. Stava per impazzire.
Will setacciò a tentoni le tasche dei jeans, della giacca, della camicia… Nulla. Assolutamente nulla. Ma perché aveva deciso di smettere di fumare quella stessa settimana? È proprio vero che quando ti serve una cosa, non la trovi mai nel momento opportuno, pensò sull’orlo della costernazione.
<< Tenete…>> sussurrò un minuscolo troll, che si era appartato in una fenditura altrettanto piccola, mantenendosi con due zoccoli le sue orecchie grigie a punta, che spuntavano come torri alate ai lati della sua testa. Nonostante le sue restringenti misure, riuscì comunque a lanciare un accendino economico a Beatrix, che lo prese al volo.
<< Grazie Billy Junior. >> Beatrix gli fece un gesto di gratitudine col capo.
<< Che intendi fare? >> Will era sempre più curioso, ma rimase fermo dov’era. La sparatoria non era ancora finita.
<< Sta' a vedere. >>. Con un click del pulsante automatico, una fiammella rosso-arancione scintillò tra le mani di Beatrix, tenute a coppa per evitare che anche solo un suo sospiro potesse soffocarla. Avvicinò l’estremità di un polpastrello a quel calore e la fiamma si espanse per tutto il suo dito, la sua mano, il suo braccio… Beatrix stava andando a fuoco!
<< Ragazza, ma che…>>
Will non riuscì a proseguire con la sua stupita affermazione, quando l’amica si ritrovò con entrambe le braccia che ardevano come due torce di legno. Ma né i suoi abiti né la sua carne si stavano bruciando. Era un incendio di Potere, forse antico quanto gli spiriti primordiali.
Beatrix si strofinò le mani infuocate e le mantenne aperte ad offertorio per controllare la sferica scintilla appena generata, che si librò in aria come se fosse dotata di un proprio intelletto.
<< Il fuoco è la fonte di ogni luce, e nella luce il fuoco avanza…>> Beatrix deglutì, e incurante della potenza nemica, concentrò le proprie forze sulle piante dei piedi. Così prese uno slancio sufficiente per planare in alto, uno… due… tre… quattro metri da terra.
Le fiamme presero la forma di una coda scagliosa di un drago o di una fune nodosa, che seguirono la loro Incantatrice e le fasciarono le gambe e le spalle, sino a sfiorarle le clavicole. Beatrix e il suo Potere volarono insieme. Erano una cosa sola. Inseparabili. Indistruttibili. Inafferrabili.
Dinnanzi a lei si formò una pellicola translucida, che faceva da barriera a ogni possibile minaccia esterna. Compresi, fortunatamente, i proiettili, che sbattendovi contro, finivano per liquefarsi.
I due licantropi russi non realizzarono mai che cosa stesse succedendo. Furono raggiunti dalle lingue cocenti, che arsero i loro soprabiti scuri come se su di essi fosse stata versata una grossa quantità di benzina o qualunque altra sostanza infiammabile. Al contatto col fuoco, i lycan si indeboliscono, ma non muoiono. Possono maggiormente tollerarlo rispetto ai vampiri, tuttavia il fuoco è fuoco. Come per gli umani, anche per i lupi le ustioni fanno un male cane.
Slanciandosi di lato, Beatrix recuperò il sai dagli stivali, scivolò e riappoggiò i piedi sul pavimento, che le fiamme continuavano a lambire, ma non lei. Non l’Incantatrice.
Fece una giravolta e si scagliò contro Sheila. La fairy non ebbe il tempo di premere il grilletto per spedire un colpo dritto al petto della ragazza che si ritrovò supina e a gambe all’aria. Fu come un fulmine. Una spaccatura violacea, e una linea di sangue serpeggiò copiosamente sul mento della Shee, all’altezza del suo collo. Sheila si distrasse un attimo, rimettendosi dritta sulla schiena, ma Beatrix ne approfittò. Serrò la presa sul pugnale destro, e artigliò la pancia della Shee, appena sopra l’osso pudico. Risalì con lentezza lungo il suo piatto ventre, squarciandola. Accasciata su se stessa e ansante, la fata sgranò gli occhi e ghignò un comando, con voce resa stridula dal dolore e dalla rabbia.
<< Uccidetela! >>
Nicia, senza battere ciglio, si scaraventò su Beatrix, che si era già preparata al contrattacco distendendo le braccia una a lunghezza più piccola dell’altra e ancorando i pollici tra gli tsuba e il rostro centrale. I due pugnali e la daga di Nicia cozzarono, e lo scintillio delle lame riverberò sui volti dei due sfidanti, illuminati da un livido riflesso ambrato. Le fiamme ancora trepidavano tra le dita dell’Incantatrice.
I muscoli tesi per la spinta di lui costrinsero Beatrix a indietreggiare di un passo. Barcollò, ma il suo Potere le formicolò la pelle e un vigore inaspettatamente rifocillante gorgogliò nelle sue membra. Beatrix conservò il suo Potere in un pugno, e disegnò un arco rosso-argenteo nell’aria, affettando in due parti il pesante corpo di Nicia come gli spicchi simmetrici di una mela. Sai e fuoco erano ineccepibilmente in sincronia.
Uno in meno.
I due gemelli lycan caddero carponi con le palme ben aderenti al pavimento. Le loro schiene si spaccarono con uno scrocchio, e sangue e pus giallognolo si sparse intorno a loro, formando una macchia rotonda e maleodorante sul parquet. Peli irti e bruni lampeggiarono come fari, emergendo dal loro apparente status umano, mentre vari pezzi di carne rosata penzolavano dal manto nero dei due lupi. Digrignarono i denti e tirarono indietro i loro musi umidi come per annusare l’odore invitante di Beatrix, o valutare una perfetta angolazione per poter rispondere meglio all’attacco. Prima di poter tendere le zampe anteriori, per ricevere una spinta dal basso, una rete calò dal soffitto, avviluppandoli e alzandoli sempre più su… I due lycan tentarono di spezzare le spesse corde intrecciate della trappola, ma più vi si accingevano, più la rete aderiva alle loro pellicce come una seconda pelle.
Beatrix alzò lo sguardo.

mercoledì 11 novembre 2009

Capitolo 1 - Il curioso caso di William Parker



La luce della luna, che regnava alta nel cielo limpido, non era mai stata così luminosa. Si riversava sulle strade di Los Angeles come una pozza argentea, spazzando via le ombre della notte che incombevano avide sui palazzi, mentre
alcuni suoi raggi pallidi trapassavano le nuvole perlacee come se fossero saette. Ogni cosa pareva attratta da quella luminescenza e, quasi inconsciamente, chiunque quella notte avvertiva il bisogno di rimanere irradiati da tale calore e sentire sui propri volti il suo morbido abbraccio. Un desiderio inspiegabile. Forte. Oscuro.
Beatrix poteva ammirare il movimento caotico e scomposto della città. Sedeva sul tetto di un torreggiante grattacielo di oltre trenta piani e da lassù, il vento fendeva l’aria in modo più impetuoso, scompigliandole i lunghi capelli corvini, che si intrecciavano tra loro come le onde schiumose dell’oceano che si abbattono contro un groviglio di scogli rocciosi.
Dal cielo sfumature rosso-grigiastre contornavano il profilo delle montagne brinate alle sue spalle e risaltavano le cornici aggettanti delle finestre degli uffici e di alcuni negozi che mostravano ancora il cartellino “Aperto” sulle vetrine.
Da quell’altezza Beatrix si rilassò, e lasciò che il freddo della notte l’avvolgesse e la cullasse.
Con le braccia, si portò le gambe al petto e poggiò una guancia sulle ginocchia.
Insicurezza...Odio...Amore...Noia...Tristezza...Lussuria...Tradimento...Rancore...Desolazione...Panico...
<< Mi scoppiano in testa! Non posso controllarle... >> sussurrò Beatrix con tono disperato, stringendosi il corpo in un abbraccio solitario e graffiandosi le braccia con le unghie. Pensava che in questo modo il dolore fisico potesse attutire quello mentale, regalandole almeno per un solo istante sollievo e conforto. Ma il suo tentativo fallì, come accadeva tutte le volte che ci provava.
Le emozioni umane si manifestavano ognuna con gusti diversi, e opprimevano continuamente la mente di Beatrix. E la ragazza, nonostante avesse affinato il suo autocontrollo con il passare degli anni, partiva dalla consapevolezza che qualunque metodo avesse usato, quelle sensazioni non sarebbero mai scomparse dalla sua testa con molta sollecitudine. Un loro frammento, anche se fugace, vi rimarrà sempre.
A volte i sentimenti erano molto più profondi e incontrollabili, e finivano per intrappolarla in una morsa così stretta, che ogni muscolo o molecola del suo organismo sembrava paralizzato, come se una spugna imbibita d’acqua e un filo elettrico la toccassero contemporaneamente, dandole una scossa. Però, se si concentrava come le era stato insegnato, riusciva ad opporsi a quelle cariche emotive che si imponevano famelicamente nel suo cervello. Ma a caro prezzo, purtroppo. Beatrix doveva impiegare parte della sua energia, rimanendo senza fiato.
Peggio ancora, se non riusciva a concentrarli in un unico canale della sua mente, un’emicrania sarebbe stato il male minore. Odiava questa parte del suo Potere empatico. Odiava avere una simile sensibilità per il genere umano e la realtà che la circondava.
Era morta da più di tre anni ormai e, tristemente, traeva la forza di andare avanti giorno per giorno immaginando sua madre che, dopo una faticosa giornata di lavoro, l'attende con un sorriso sereno al portone di casa sua, non più spoglia e avvolta da lenzuoli bianchi, ma riempita da quel tepore familiare di cui Beatrix sentiva una profonda nostalgia; o suo fratello Matt, che insieme al padre, il generale Paul Miller, con addosso il suo inconfondibile profumo di tabacco cubano, la prende ancora in giro per le felpe maschili di taglia più grande che Beatrix di soppiatto gli rubava nel cassetto dei vestiti, ebbra di vitalità e ottimismo.
Ma dentro di sè, Beatrix urlava, urlava e urlava... non doveva pensare a loro, non doveva soffermarsi su desideri irrealizzabili! Era giunto il momento di farsene una ragione! Loro non torneranno mai più!
Però, quelle tenere fantasie evocavano in lei solo pace. Un’inebriante, rasserenante, gaia pace. Come faceva a sbarazzarsene di punto in bianco e a rinnegare il suo passato? Era per la sua famiglia che si batteva e che continuava a vivere.
Beatrix scosse il capo, come per schiarirsi le idee, alzò le spalle per sciogliere i muscoli e con essi l’ansietà che si era accumulata.
Contò fino a quattro.
Uno, due, tre, quattro…
Quelle sensazioni estranee fluirono dal suo corpo, sbarrate definitivamente fuori dalle porte della sua mente, impedendo così eventuali ingressi involuti.
D’un tratto, udì un grido femminile a pochi metri di distanza e uno stridere di denti simile al ringhio di una pantera.
Disperazione e paura avevano quasi sempre lo stesso sapore. Metallico e pungente, come il sangue che scorre a fiotti da una ferita pulsante. Ma non era paragonabile a quello disgustoso della gratuita malvagità di molte creature.
Non c’era tempo da perdere.
Beatrix diede un ultimo sguardo alla luna che padroneggiava sul panorama notturno e, allo scoccare della mezzanotte, prese un respiro profondo e saltò.

<< Ragazza, confesso che sono sorpreso di trovarti qui. >>
Will “Beretta 92” sedeva a gambe accavallate su un divano camosciato rosso bordeaux dell’Exotic cafè, il più popolare night club della città di San Diego, in California. Era difficile trovare uno spazio libero per potersi muovere non solo all’interno, ma anche esternamente, dove una calca di persone era sempre pronta a scavalcare una fila lunga chilometri, pur di entrare. Numeri interminabili di auto e motociclette parcheggiate nello spiazzo ghiaioso di fronte all'entrata, lo sfregare delle gomme sull’asfalto delle strade adiacenti, clacson, grida e imprecazioni varie rendevano manifesto l’affollamento tipico del sabato sera.
Un sorriso da trecento watt illuminò il viso cireneo e triangolare di Will, creando due fossette innocenti ai lati delle sue labbra imporporate. Aveva quella tipica aria ingenua e inoffensiva che hanno molte persone. Ma, come suggeriva il suo soprannome, “Beretta 92” non faceva niente senza ricavarne un compenso, non scommetteva mai senza sapere già di vincere, non andava in giro disarmato senza che qualcuno gli coprisse le spalle. La sua semi-automatica di fiducia era sempre infilata nella fondina ascellare nascosta accuratamente sotto la sua giacca di velluto marrone, insieme a un’abbondante scorta di cartucce calibro 9 mm Parabellum, che decoravano una fascia di cuoio legata alla cintola a mo’ di cintura. Usare dei proiettili come borchie era una delle sue tante diavolerie “alla moda”. Se voleva passare inosservato, sicuramente avrebbe perso la sua scommessa.
Una sottile treccia nera, lunga fino all’osso sacro, gli ricadeva su una spalla, e la sua frangia accuratamente fonata si apriva man mano come le tendine di un palcoscenico, scoprendo i suoi magnetici occhi di ghiaccio così chiari da confondersi quasi del tutto con il bianco intorno alle sue iridi.
<< Mi rintracci sempre, ovunque vada. Prima a Tahiti, poi a Venezia, Madrid, San Francisco, Londra… Vuoi continuare a pedinarmi o mi dici che cosa ti serve, Beatrix? >> le chiese pacatamente, mentre il fumo delle sigarette e l’olezzo del sudore disperso impregnavano l’aria, divenuta ormai irrespirabile e stantia.
La ragazza rimase a fissarlo a braccia conserte, con il fianco sinistro poggiato sul pilastro bianco vicino alla porta d’ingresso del club.
Con aria impermutabile, Beatrix si avvicinò a Will, passo dopo passo. I suoi stivali di pelle neri rumoreggiavano a ogni stoccata, facendo oscillare il parquet del locale come se fosse scosso da fremiti improvvisi.
Quando si ritrovarono faccia a faccia, Beatrix poggiò le mani sui braccioli della poltrona e fece aderire le sue gambe a quelle di lui frontalmente, in modo che Will potesse sentire anche attraverso il tessuto aderente dei pantaloni, il freddo contatto del metallo delle sue armi di fiducia: lunghi pugnali sai, aguzzi e dalle punte taglienti e letali.
<< Oh, Will, non mentire: lo so benissimo che sei contento di vedermi. Lo sento. >>, bisbigliò le ultime parole alitandole vicino al suo orecchio destro.
Will chiuse e riaprì le palpebre più volte e arricciò il naso all’insù. Era palesemente nervoso. Con Beatrix era davvero difficile nascondersi dietro i suoi soliti giochetti.
Dannazione.
Guardandolo con i suoi occhi cerulei, due oceani penetranti che sfavillavano sotto la luce soffusa del bar, Beatrix non aspettò nessuna risposta. Si sedette accanto a lui, imitando la sua stessa postura e facendo ricadere la testa sul cuscino. Chiuse gli occhi.
<< Ho capito, ragazza. >> Will le circondò le spalle con un braccio e la tirò a sé, mentre Beatrix, di rimando, si accoccolò più vicina, il capo contro l’incavo del suo collo. L'odore di sapone, profumo maschile e dopobarba le riempì le narici e sentì su uno zigomo gli anelli della catenina di ferro che scendevano fino al petto di lui con una croce celtica penzolante.
Un amico. Era questo di cui aveva bisogno. Un vero amico.
Ma in quel momento, la porta si spalancò bruscamente e una cacofonia di sensazioni si riversò nella mente di Beatrix, senza controllo: furore, rabbia, disprezzo, vendetta. E, sfortunatamente, era proprio Will il diretto interessato.

Prologo - Il sacrificio





Ho superato la linea sottile che separa la vita dalla morte e ho vagato nelle ombre più oscure. Sentivo il lento percuotere della mia anima fragile salire sul mio corpo sanguinante. I miei ricordi di una vita vissuta tra la gioia di una famiglia e la freschezza della innocenza iniziarono a scorrere velocemente nella mia mente. Ogni frammento apparve così nitido, come se rivivessi una seconda esistenza ancora più intensamente, con occhi nuovi.
Libera e fluttuante, fui avvolta dall’oscurità che la mia prematura dipartita aveva portato con sé, e anche se credevo di non poter più versare lacrime, ebbi come la sensazione che il mio volto fumogeno fosse rigato da gocce mielose, dolci e dense. Le mie mani prive di consistenza tentarono di tingersi di quell’ultimo tassello di materialità che mi era stata strappata via con così tanta violenza e brutalità.
Il mondo, con cui avevo imparato a convivere, si allontanava sempre di più, fin quando non divenne un punto intangibile, lontano, irraggiungibile.
Non volli piangere per la mia fine o per tutte le aspettative che avevo riposto in una vita che speravo fosse più lunga e felice possibile. Piansi per coloro che amavo e che avevano dato la vita per me.
Fu un sacrificio che non ho potuto evitare e, quando le luci vitali ancora baluginavano nei loro corpi martoriati da ferite insanabili, mi battei per loro, inutilmente. Se era proprio questo il destino che era in serbo per loro, allora doveva essere il nostro destino. Non avrei mai abbandonato la mia famiglia e i miei amici, nel bene e nel male.
Così scelsi di andarmene con loro, in qualunque posto sarei stata condotta. Per sempre, rinunciando a tutto.
Ma mentre mi avvicinavo a un’immagine circoscritta da spiragli eterei, dove le essenze dei miei cari e dei miei avi mi attendevano per ricongiungermi a loro, venni afferrata da una forza aurea, che mi circondò in vita e mi trascinò nuovamente verso quel punto coriaceo, il mondo reale, che si colorò dapprima di sfumature iridescenti, man mano sempre più contraddistinguibili in tinture concise e naturali.
Fui catapultata sulla terra con una velocità pari a quella di un supernova e, durante quella fulminea discesa, potevo risentire la vicinanza del mio corpo così come lo avevo lasciato.
Percepii caldi respiri gonfiarmi il petto e il tamburellante ritmo del cuore che pulsava freneticamente.
Poi udii un bisbiglio, che ripeteva costantemente il mio nome, come se avesse voluto svegliarmi da un sonno perenne.
Beatrix, Beatrix, Beatrix…
Mi destai da quell'oscurità, pur non sollevando completamente le palpebre.
Quella forza, quel Potere che mi aveva ghermito, si insinuò dentro di me, penetrando attraverso il mio spirito, che aveva smesso di vacillare nel ricongiungersi alla luce che mi attendeva oltre, ed era ritornato nel mio corpo.
Questo era impossibile! Ero morta! Non avrei mai potuto sopravvivere dopo tutto quello che mi era capitato, dopo tutto quello che avevo visto e mi era stato fatto! Ma allora perché potevo avvertire repentini brividi di freddo, il sudore che mi imperlava i capelli, ma soprattutto il tenero e insaziabile calore umano? Ero forse viva? Di nuovo?
Non mi mossi, anche se ero consapevole che ne sarei stata capace.
E ancora una volta quella voce risuonò nella mia testa…
Beatrix, Beatrix, Beatrix…
Aprii gli occhi e ciò che vidi fu una donna sorridente dalla lunga treccia dorata, la cui pelle riluceva di un fulgido bagliore accecante. Quel Potere.
Non avrei mai potuto immaginare quanto la mia nuova vita da quel momento stesse per cambiare.
Ma il punto era proprio questo: la mia morte fu soltanto il principio…