giovedì 31 dicembre 2009

Capitolo 5 - La volpe dagli occhi di ghiaccio




Per essere le due e mezza del mattino, a San Diego la temperatura era abbastanza calda e carezzevole, adatta a chiunque avesse voglia di passeggiare di notte senza pensieri. Un clima pressoché accettabile per gli standard della città, considerando che solo da poche settimane si era entrati nella stagione autunnale.
Un vento altrettanto piacevole sventolava come una bandiera alcune ciocche ricce sulla fronte di Beatrix. La ragazza si rifiutò di coprirsi le spalle esposte con la giacca, mantenuta comodamente sotto un braccio. Il suo fuoco, anche se non si stava manifestando fisicamente, produceva un bel calduccio ristoratore sulla sua pelle, mentre Beatrix giocherellava con il suo amuleto d’argento dalle fantastiche incisioni invetriate che portava appeso al collo e, un po’ annoiata, percorreva lo stretto vialetto che costeggiava il club. Erano ore che cercava un qualsiasi segno di Will, una traccia delle sue emozioni per poterlo rintracciare, ovunque fosse finito. Difficile sia a dirsi che a farsi, ma Beatrix conosceva quel furbacchione fin troppo bene.
Era stata in mille posti che potessero corrispondere alla tipologia di locali frequentati dall’amico. Ma di Will neanche l’ombra. Perciò era ritornata all’Exotic, per un ulteriore tentativo. Purtroppo Beatrix non vide altro che adolescenti intenti a tracannare più alcol di quello che il loro organismo fosse in grado di tollerare; notò anche qualche essere fatato, (nessuna Shee, per fortuna), come fastidiose pixie o eccentriche meduse, che si divertivano a fare scherzetti banali alla gente che passava senza farsi scoprire, visto che il glamour permetteva loro di rendersi invisibili agli occhi inesperti degli umani; un paio di Veggenti che, pur di guadagnare, vendevano i loro doni in semplici letture della mano e dei tarocchi; un gruppetto di vampiri, generati da pochissimo tempo, che trascorrevano la serata come molto probabilmente facevano da vivi, e una setta di streghe che già si affrettava a sistemare i preparativi per il Samhain imminente.
Tutto nella norma per la movimentata realtà di Beatrix. E a pensare che alcuni anni fa, questo le sarebbe sembrato del tutto impossibile. Ma, come dice sempre Will, mai dire mai nella vita.
Quando le sue forze stavano per essere divorate dal profondo abisso della stanchezza, Beatrix ebbe un cattivo presentimento. E se Will non fosse mai uscito dal locale, prendendo per i fondelli sia lei che i cacciatori? Beatrix non poteva credere che il suo migliore amico fosse stato così codardo da non prendersi le sue responsabilità e affrontare coraggiosamente la sua ex fidanzata patologica e Mark Turner. Forse era lei eccessivamente legata a principi a cui Will non ci faceva neanche un pensierino.
Conscia di questa amara verità, la ragazza accelerò il passo e, con grande repulsione, rivide l’entrata dell’Exotic così come l’aveva lasciata. Senza tanti convenevoli le diede un calcio e sgattaiolò dentro.
<< Will, lo so che sei qui. Esci fuori! >>
Le sue urla fecero eco a un sospiro sommesso. Mark e le sue cacciatrici se n’erano andati via da un pezzo, come anche gli abituali clienti del club. Allora, oltre a Will, chi poteva essere?
<< Ciao, Beatrix. Sono Billy. >>
La sua vocina nasale aveva il classico accento strascicato dei troll, ma molto cordiale e amichevole. Con una manina fece un movimento circolare che voleva essere un timido saluto.
<< Ehi, scusa, Billy... ehm... hai visto Will? >>. Beatrix aveva addosso ancora quella sinistra sensazione, ma non voleva mollare l’osso proprio adesso che era ultima alla sua ricerca.
<< Oh, sì, sì. È uscito una ventina di minuti fa dalla porta blindata laterale. Ha aspettato che Il cacciatore arrestasse la Shee e poi è scappato via come un razzo. Beh, l’ho visto con i miei stessi occhi scendere le scale e sfrecciare con la sua Cadillac parcheggiata sul retro. E se non mi credi, fa come vuoi, ragazza. >> Ragazza? E da quando un troll fa uso di vezzeggiativi confidenziali ed è così gentile da rivelare succulenti particolari senza chiedere un alto compenso in bigliettoni?, si domandò Beatrix sempre più convinta che il suo intuito fosse quello giusto.
<< Ma davvero, Billy? Sei disposto a giurarlo sulla tua testa? >> Beatrix decise di stare al gioco. Prese a picchiettare un’unghia su un sai che aveva posizionato sul fianco destro.
Il finto Billy deglutì così fortemente da sentire il groppo di saliva sbattere contro le pareti della sua gola.
<< Certo, certo... Però se vuoi seguirlo...>>
<< Oh, ma perché stancarmi più di tanto se posso godere di una piacevole compagnia come la tua? >>
<< Già, perché no. >> Billy aveva acquisito scioltezza nel parlare, senza quello stupido, falso accento da troll, e la sua mascherata era prossima alla fine. Messo un piede dopo l’altro e calmato il crescente battito cardiaco che invitava il suo cuore a uscire fuori dal petto, il troll tentò di ficcarsi attraverso la porta secondaria, suggerita precedentemente da Will come possibile via di salvezza. Però l’Incantatrice, sospettando questa sua reazione, chiamò al suo cospetto uno dei quattro elementi naturali con cui aveva spontaneamente simpatizzato sin da quando, tre anni fa, aveva scoperto il suo Potere di Incantatrice. Come se stesse spazzando via una manciata di polvere schiaffeggiando l’aria con il dorso di una mano, procurò un’ondata di vento incredibilmente prosperosa da far piombare Billy contro il muro.
Gemente, questi si sollevò e tenne il peso della propria mole sulle sue ginocchia tremolanti.
<< E va bene, hai vinto! >>. Billy gesticolò spasmodicamente, con il timore che la sua supplica non fosse sufficiente a calmare la furia di Beatrix.
<< Non prenderti gioco di me. Smascherati, Will! >>, lo redarguì la ragazza con tutto il fiato che le era rimasto in corpo. Era stato un tremendo, schiacciante sforzo solo pronunciare quell’avvertimento: Beatrix era stanca dopo una giornata in cui aveva dovuto dare il massimo delle sue capacità, catalizzando le sue emozioni e quelle altrui in un unico condotto mentale, ed essere il più lucida possibile nel combattimento. Se poi si aggiungeva anche Will nella lista...
Tuttavia, Beatrix sapeva benissimo cosa il suo amico fosse e quale lato oscuro si celasse dietro la sua indole da furfante: era il figlio bastardo di una Kitsune.
Kitsune, o semplicemente Demoni Volpe, sono prevalentemente fanciulle di folgorante bellezza, che possiedono qualità innate, come poteri illusori in grado di penetrare nelle visioni oniriche delle persone, il controllo del fuoco, la possessione corporea attraverso le unghie o i seni della donna prescelta, tecnica meglio conosciuta come Kitsunetsuki, e la capacità di mutare il proprio aspetto. Nella loro forma tradizionale le Kitsune sono rappresentate come volpi dal manto bianco, aureo o argenteo con più code, le quali denotano la specifica elevatezza delle loro doti. Molto spesso i Demoni Volpe seducono gli umani e sfornano nascituri ibridi che ereditano uno di questi particolari poteri demoniaci. Will non ha mai conosciuto il suo vero padre. Però sua madre gli aveva rivelato che non era umano. Era un Eversor, un potente Demone Distruttore, che si dilettava a suscitare controversie, imbrogli, malattie e guerre tra stati, popoli e clan di varia natura. Negli Inferi si vociferava che fosse stato proprio il padre di Will a scatenare la peste bubbonica nell’Europa del Trecento, a riversare l’odio dell’Inquisizione nei confronti delle presunte streghe mandate al rogo, strangolate o impiccate barbaramente, a sollecitare i desideri espansionistici di Luigi XIV, e a scatenare la pazzia in numerosi personaggi del passato come Caligola, Nerone, Domiziano e Hitler, che passarono nella storia nel peggiore dei modi.
Fortunatamente, Will aveva mantenuto la sua forma umana dalla nascita, altrimenti andare in giro con un paio di code sul sedere sarebbe stato molto imbarazzante. Ma un pizzico della personalità sia del padre che della madre non gli mancava di sicuro. D’altra parte, Will non sarebbe mai arrivato a commettere simili nefandezze.
Beatrix era arrabbiata con lui per quello che aveva fatto con i lycan e i cacciatori, ma almeno l’amico non aveva causato la morte di migliaia di uomini solo per puro divertimento. Per questo aspetto, spezziamo una lancia a suo favore, concesse Beatrix.
<< Ragazza, hai tutte le ragioni di questo mondo per avercela con me. Ma, ascolta. Io...>>
<< Non mi tradiresti mai, vero? Beh, Will, lo hai fatto! Tu non... non puoi rischiare la tua vita in questo modo. Io ti ho protetto tutte le volte che hai combinato i tuoi soliti casini... Ma perché poi ti sei rivolto ai lycan? Non è prudente essere alla loro mercé e tu lo sai benissimo! Diventare un protetto di un altro demone comporta pochi privilegi e migliaia di rischi indicibili! Se avevi dei problemi, anche economici, bastava chiedere. Invece no! Stupido orgoglioso che non sei altro! >>. Il suo disappunto si stava trasformando in qualcos'altro. Preoccupazione? Per Will?
<< Oh, gioia, è per questo che vuoi spappolarmi il cranio? Perché eri in sovrappensiero per me? >>, tirò a indovinare Will, che ormai era sicuro che il peggio fosse passato. O almeno lo sperava.
<< Lo so che non è facile frenare alcuni istinti naturali. Io solo la prima che a fatica ci riesce, ma questo non significa che devi fare gesti da immaturo e prendere la nostra amicizia, buttarla nel water e tirare lo scarico! Un minimo di comprensione, Will. Non ti chiedo tanto! >>, spiegò Beatrix imperterrita.
Will-Billy fu avvolto da un alone rosseggiante, della stessa colorazione del sole morente del tramonto, e la sua pelle, se prima raggrinzita e coperta da una peluria grigia, divenne candida come una superficie di porcellana. I suoi lineamenti ritornarono aggraziati e sprezzanti, e il suo viso smunto, con sopra abbozzata una smorfia di agitazione, fu il primo carattere di Will che a Beatrix risultò particolarmente lampante e riconoscibile. Il demone, con la sua giacca di velluto marrone forata in più punti per via degli spari schivati, trascinò il suo profumo di dopobarba e sapone ai lamponi, mentre si avvicinava circospetto alla sua migliore amica. Lui era un Eversor-Kitsune e, doveva ammetterlo, aveva ottenuto solo benefici da questa singolare unione. Ma Beatrix, una creatura così bella, tenace e determinata nella sua missione di vita, portava un fardello di una gravità insormontabile, e Will non riusciva a immaginare la propria mente come un centralino telefonico aperto al pubblico. Sarebbe stato troppo stressante per lui.
Will diminuì la distanza tra loro e vide il respiro accelerato della ragazza che faceva danzare i suoi seni piccoli e lattei, e il tremore del suo labbro inferiore fece dischiudere soavemente la sua bocca. Le sue lunghe ciglia sbattevano sempre più lentamente contro le sue guance cesellate, ed era impossibile non accorgersi dell’evidente sfinimento della ragazza. Beatrix per poco non sveniva per terra se Will non l’avesse afferrata prontamente.
<< Ehi, ragazza, che ti succede... >>, le sussurrò il mutaforma, tenendosi stretto il flessuoso corpo dell’amica che già dava segno di rinvigorimento.
<< Nulla. Sto bene. >>, mentì Beatrix con voce flautata, respingendo l’abbraccio di Will. Però il suo gesto di rifiuto sembrò colpire Will più di quello che la ragazza si aspettasse. Il suo risentimento si insinuò in Beatrix come se le avessero tirato uno spietato manrovescio.
<< Scusa, non volevo... Grazie per avermi presa. >> L’Incantatrice si meravigliò della sua lingua impastata e della sua gola riarsa. Si umettò le labbra screpolate e sentì il sapore inconfondibile del sangue.
<< Siediti, Beatrix. >>. Will cominciava a considerare che lo stato di salute dell’amica non fosse del tutto ottimale.
Ma la ragazza scosse la testa, sottolineando il “no” che uscì dalla sua bocca con un debole mormorio. Andò vicino al bancone e si riempì un bicchiere pieno di succo di frutta tropicale, pensando che qualche vitamina fa sempre bene al fisico indolenzito.
<< Da quanto tempo va avanti questa storia, e perché non me lo hai detto? >>, la incalzò Will impazientemente.
<< Non dovrei essere io quella inalberata, o sbaglio? >>. Beatrix trattenne una risata e tirò la testa all’indietro, mantenendo sul palato il retrogusto del mango e dell’ananas del drink appena bevuto.
<< Ok, messaggio ricevuto. Non mi devo preoccupare inutilmente. >>
<< Esatto. >>, confermò Beatrix, spavalda.
Will prese a formare un cerchio intorno a lei, camminando a piccoli passi e impasticciandosi le mani nervosamente.
<< Va bene. Cercherò di non combinare mai più guai e di tagliare i ponti con i lycan definitivamente. >>, promise Will, una vera volpe di nome e di fatto.
<< Non fare promesse che non puoi mantenere, specialmente con me. Il mio popolo era molto legato ai giuramenti, e una volta fatti, non bisognava infrangerli. Stai attento. >>, lo apostrofò Beatrix con tono roco.
<< Sono a conoscenza della potenza della tua gente. Ci sono molti libri, documenti e leggende sul vostro conto. Ne ho letti molti. E sono consapevole di quello che dico. Ergo, rinnovo la mia promessa. Giuro di rispettarla sul mio cuore di demone. >>, Will raccolse una mano di Beatrix e se la pose sul petto, per rendere ancora più vere le sue parole.
<< Vedi di non deludermi, campione. >>. L’Incantatrice, con l’altra mano libera, diede un tenero buffetto all’amico. Ormai i loro disguidi si erano placati, ed era ritornata l’aria serena di un tempo.
<< Allora, ragazza. Sai che giorno è oggi? >> la interrogò lui, irradiato da tanto buonumore.
<< Uhm… sabato? >>, rispose lei meccanicamente.
<< No, mi riferivo al felice anniversario che si festeggia il 16 ottobre alle undici e ventitre minuti ogni santissimo anno. Dai su, indovina! >>
Beatrix rimase traumatizzata dalla contentezza sopraffina di Will. Poi, ricordando perfettamente a quale occasione l’amico stesse alludendo, alzò gli occhi nella direzione di quelli chiarissimi di Will, ammiccando.
<< È il giorno in cui io ti ho salvato il culo da un branco di Demoni Sabbia, che ti stavano risucchiando in un buco nero, e tu in cambio mi hai regalato la tua moto nuova di zecca. E così che ha avuto inizio la nostra piccola avventura, eh? >>
Il primo incontro con Will era una vicenda ancora vivida nella sua mente. Ricordava lo stupore del suo futuro amico non appena la vide in volto la prima volta. Will era legato ai polsi da una catena strettissima e, per settimane, nonostante fosse un demone, portò il segno delle escoriazioni da essa provocate, profonde come un marchio indelebile. Beatrix affrontò ed eliminò i Demoni Sabbia, che stavano evocando con il loro Potere un buco nero, una voragine oscura dove regna il nulla. Nessuno è mai tornato incolume da lì, ma qualunque sia la sorte di un uomo dopo esservi entrato, non sarà certamente favorevole. E l’Incantatrice non sapeva chi fosse il poverino appeso alla parete, moribondo ed esangue, e qualunque sia stato il motivo per il quale salvò Will da morte certa, lei si adoperò a soccorrerlo. Beatrix lo aiutò a rimettersi su e gli slegò i polsi, offrendogli la propria spalla a mo' di stampella per farlo camminare. Will aveva la vista ovattata, ma non scorderà mai la luminosità degli occhi dell’Incantatrice che parevano le uniche ancore di salvezza in un mondo fatto di tenebre.
Non presero subito confidenza. Beatrix era intenta a medicargli le ferite, con dolcezza, e lo faceva in modo molto abile, come se curare un ferito fosse il suo mestiere. Ma Will, quando la scrutava intensamente, si chiedeva se quella misteriosa ragazza sapesse che lui era un demone e se conoscesse la sua occupazione di contrabbandiere d’armi. Ma resosi conto delle frecciatine di interesse che Beatrix mandava alla sua moto piazzata in un angolo, cominciò a scoprire sempre di più sulla sua meravigliosa salvatrice (come la sua passione per i motori), e ben presto l’amicizia sarebbe stata la cosa più bella che gli fosse capitata nell’arco di secoli.
<< Sono passati già due anni... Dio mio! Propongo un brindisi! >>, trillò lui fremente.
<< Tu sei tutto scemo. >>, mugugnò Beatrix che lo seguì a un tavolo e, sollevando a mezz'aria il bicchiere colmo di altro succo, celebrò con lui quello che fu un passo decisivo nella sua vita, una svolta inaspettata. Il legame con Will fu per l’Incantatrice un salvagente lanciato in mare proprio nel momento in cui aveva terribilmente bisogno di un conforto morale e fisico. Beatrix necessitava di una presenza ben definita nella sua esistenza, e Will lo rappresentava a pieno, anche con i suoi innumerevoli difetti, continui traslochi e menzogne. Essendo in parte un Eversor , Will non provava soddisfazione se non provocava qualche guaio, anche se innocuo.
<< Ora stai meglio, Beatrix? >>
La ragazza gli ricordò sorridendo che non doveva più rivolgerle quella domanda. Era stato un momentaneo mancamento, un semplice capogiro. A chi non capita?, aveva scherzato lei. Ma lui non ne era del tutto convinto. Il volto di Beatrix era pallidissimo e Will non sopportava di vederla in quello stato.
<< Vieni. >>, le disse prendendola per mano, << Avrai l’onore di essere la prima persona della Terra che abbia mai visitato il mio laboratorio di San Diego! >>
Beatrix allacciò il suo braccio intorno a quello di lui, sia per sorreggersi che per assecondare il passo svelto dell’amico.
Usciti dalla porta blindata laterale, Will la condusse in un piccolo abitacolo che affiancava l’Exotic Cafè. Aveva un tetto rosso diroccato e varie crepe tangenti tra loro rovinavano l’intonaco che ricopriva le pareti esterne della casupola, brune alla luce della luna.
<< Gesù, è questo il tuo laboratorio, Will? >>
<< No! >>, esordì Will come se Beatrix avesse detto una bestemmia. << Aspetta e vedrai. >>
La condizione della baracca non era migliore all’interno. Ma Beatrix focalizzò la sua attenzione su una botola di ferro rotonda come l’oblò di una nave che si trovava in fondo a destra.
<< Di qua. >>, le suggerì Will che, inginocchiandosi al lato di quella strana apertura, recuperò un mazzo di chiavi tintinnante dalla tasca dei pantaloni. Dopo cinque giri la serratura si aprì, e Will sollevò il peso della porta che precipitò all’indietro con un tonfo sordo.
<< Prima le signore >>.

sabato 26 dicembre 2009

Capitolo 4 - Le ali della libertà




Era quasi ora. Sonja lo sentiva attraverso il ticchettio delle lancette dell’orologio a pendolo appeso su una parete del lungo corridoio del suo castello. Erano passate due settimane dall’ultima volta, e oggi sarebbe accaduto di nuovo. Era da quando aveva otto anni che questo peso gravava sulle sue spalle, stordendola come se una granata assordante le perforasse i timpani.
Tic, tic, tic…
Un altro minuto e un altro secondo scivolarono via.
I pori della sua pelle cominciarono a dilatarsi e il sudore le impregnò il coletto della sua camicetta verdemare preferita, che metteva esclusivamente nelle occasioni importanti. Certo, era uno spreco indossare proprio quella maglietta di cui sapeva benissimo la fine che avrebbe fatto, ma non le importava. Era come la coperta di Linus: Sonja non poteva farne almeno, sentiva il bisogno di essere accarezzata dalla delicata flessuosità della seta sulla sua pelle nuda, specialmente in quegli attimi di totale solitudine e di irrefrenabile desolazione. Forse poteva sembrare stupido e infantile, ma vero. Su questo Sonja non aveva peli sulla lingua.
Tic, tic, tic…
Un altro minuto.
Le tenebre del crepuscolo iniziarono a imporsi vincitrici sulla città di San Diego, ancora illuminata dalla fioca luce del sole che ormai era un minuscolo cerchietto arancione che sprofondava all’orizzonte.
Sonja era a un passo dall’esplodere: voleva uscire da quella prigione dorata in cui viveva, salire sul monte Everest e gridare al mondo “Perché io? Perché proprio io devo subire un destino così crudele?”. Ma Sonja sapeva benissimo che a queste domande non c’era risposta, e che nessuno, in qualunque emisfero della terra si trovasse, avrebbe potuto salvarla. Nessuno avrebbe voluto.
Tic, tic, tic…
La pioggia scese sulla cittadina spaccando il cielo con un boato, e le gocce picchiettarono una ad una sul tetto e sulle finestre, veementemente.
La sua stanza sarebbe stata completamente buia se non vi fosse penetrato qualche sfuggente raggio luminoso, creando vari ghirigori argentei sulle pareti rosa antico.
Girandosi intorno, Sonja sospirò e decise di stendersi sul suo comodo letto a baldacchino per riflettere. Ma questo era il problema: pensare a che cosa? A quello che sarebbe diventata non appena l’oscurità l’avesse raggiunta completamente e a come avrebbe gironzolato da un quartiere all’altro senza una meta ben precisa, come un’anima in pena?
No.
Voleva che nella sua mente apparissero immagini felici, come quelle che ti augureresti sempre e a cui sorridi al solo pensiero. Ma la sua vita era più complicata di quello che sembrava. Da quando era in fasce, aveva sempre vissuto nella corte del Sole, invidiando le teenager del XXI secolo che possedevano una spensieratezza che Sonja non avrebbe mai sfiorato, ma solo gustato nella sua più fervida immaginazione. Lei non potrà mai ricambiare il calore di altre dita avviluppate alle sue, non potrà mai muoversi senza scatenare ventate gelide al suo passaggio, ma dovrà regnare come è giusto che sia, come vorrebbero le fate della sua corte. O almeno una buona parte. Faceva tutto parte di un ingiusto disegno stabilito anni prima della sua nascita.
Accidenti, era o no anche lei una ragazza del nuovo millennio? Era possibile che qualcun altro doveva prendere le decisioni al suo posto e lei doveva restare semplicemente a guardare senza ribellarsi ed afferrare le retini del suo destino?
Mentre nella sua testa zampillavano questi pensieri tutt’altro che allegri, sentì due grandi mani coprirle le spalle. Quel contatto bollente le scosse un brivido lungo la schiena, sciogliendo le farfalle che si erano annidate nel suo stomaco.
<< Principessa, è il momento. >>
<< Lo so, Owen, lo so… >>
Nonostante la sua aria affranta, Sonja tirò le sue labbra per formare un sorriso stentato.
Owen reclinò il capo, nascondendo la sua espressione imbarazzata e sorpresa. Chiamandolo “Owen” e non “Eoghan”, aveva infranto una delle regole fondamentali della corte del Sole, dove il mantenimento della tradizione e, di conseguenza, dei nomi affibbiati dai propri genitori era fondamentale. Per lei Owen sapeva di moderno, ed era meno antiquato di Eoghan. Ma la loro corte era un ambiente corrotto e pericoloso, e la giovane era ancora molto inesperta in queste pratiche. Non sarebbe sopravvissuta a lungo in quella fossa di leoni. Ed era per questo che Owen, o Eoghan che fosse, aveva il dovere di proteggerla. Mantenere in vita la sua gracile principessa, persa in quella nuvola di capelli biondi che circondava il suo viso a forma di cuore, era la sua missione. Per secoli la sua spada aveva inflitto morte e sofferenza a tutti i nemici che gli si erano schierati contro, e solo pronunciare il suo nome evocava terrore e panico tra la sua gente. Ma di fronte a Sonja, la sua corazza fatta di arroganza e prepotenza cedeva.
<< Owen, apri le finestre, per favore. >> chiese gentilmente Sonja, staccandosi dalla ferrea stretta di lui.
<< Come volete, principessa. >>
<< Oh! Quante volte te lo devo dire. Chiamami Sonja! >>
<< Principess…>>
<< Ah! Ho detto di chiamarmi Sonja. Se vuoi, consideralo un ordine. >>. Il suo tono aveva abbandonato quasi del tutto la tristezza che le aveva incupito l’animo pochi minuti prima. Quasi.
Con un inchino, Owen si allontanò, accostandosi agli infissi color mogano delle finestre. Spalancò le persiane e la luce della luna si scagliò contro il suo volto, rischiarando i riflessi azzurri dei suoi capelli raccolti in una pettinatura a chignon. Un altro suggerimento di Sonja.
L’aria fredda schiaffeggiò il suo torace, riparato solo da una sottile camicia di cotone, e Owen, proprio in quel momento, avvertì la paura, tagliente come una lama, ghermire la sua dolce principessa. Non era per il freddo, perché lei era il Gelo fatto persona. Ma Owen voleva lo stesso stringerla tra le sue braccia, per farla sentire a sicuro, per farle capire che c’era qualcuno che sarebbe morto pur di regalarle quella vita “normale” a cui lei tanto anelava. Certamente non poteva pretendere molto da se stesso. Era comunque una semplice guardia del corpo reale (il suo rango non gli concedeva simili permissioni). Tuttavia, quello che sentiva partiva dal cuore e, per la Dea, l’avrebbe ammesso in presenza dello stesso re della corte del Sole, padre naturale di Sonja, se fosse stato necessario.
Però, quando si girò per rivedere ancora una volta gli occhi della ragazza riflettersi nei suoi, Sonja era già scomparsa come uno spirito fuggevole. Al suo posto, tra un paio di jeans e la sua prediletta camicetta satinata ormai bruciacchiati, emersero un becco dalla punta marrone e un frullo di ali piumate che si alzarono in volo e, fuori dalla finestra, condussero Sonja nel buio della notte, sotto le sembianze di una splendida aquila reale.