domenica 28 marzo 2010

Capitolo 8 - Via col vento




Era bagnato, ruvido e sporco.
Dappertutto.
Goccioline lucenti di rugiada ricoprivano piccoli ciuffi d’erba e imperlavano i capelli di Sonja sparpagliati su un prato inglese appena tagliato.
Il terriccio impastato dalla pioggia si spalmò sul profilo destro del suo volto, mentre il Gelo, destandosi, tentò di aprire gli occhi; ma una luce bianca, la luce del sole mattutino, la costrinse a ripararsi dai raggi incipienti che le si stagliarono contro.
La principessa socchiuse le palpebre prudentemente e si puntellò su un fianco. Ah…pessima scelta. Dopo la mutazione, i tendini dei polpacci rimanevano irrigiditi per ore, e ogni singolo movimento fu per Sonja uno sforzo olimpico. Trasse un respiro dopo l’altro, annegata nella sua agonia dilaniante.
Ma dove si trovava? Cosa le era successo?
Sperò che anche nel suo stato animale i sensi l’avessero guidata a casa, nel suo giardino, e non in mezzo a un centro commerciale affollato o a un parcheggio altrettanto ricolmo di umani come le era capitato parecchie volte negli ultimi sette mesi.
Tra i sfruscii delle foglie e lo zampillio scalpitante di una fontana in vicinanza, avvertì una presenza familiare.
<< Sonja, prendete le mie mani, così vi aiuto ad alzarvi. >> Era così rassicurante che Sonja si illuse di essersi smarrita in un sogno, o di giacere ancora nel suo letto avvolta nelle lenzuola, riposata e grintosa per una nuova giornata.
<< Ma come ti permetti! Rimani al tuo posto, Eoghan! >> Ne apparve un’altra, più incollerita e tirannica, che Sonja odiava con tutto il suo cuore, che disprezzava e malediva in nome della Dea…
Due parole: Artemisia Reynolds. La progenie del demonio.
La ragazza avrebbe voluto prendere le difese di Owen e dire a quella megera di chiudere la sua maledettissima fogna, ma ci pensò due volte prima di farlo. Offendere Artemisia, la guerriera più feroce della Corte del Sole e per di più la concubina preferita del re, significava firmare col sangue la propria dichiarazione di morte. Molti avevano sperimentato le loro lingue argentine su di lei, e Artemisia si era dimostrata tutt’altro che clemente e discreta.
Il suo aspetto, oltretutto, non faceva altro che invigorire la sua nomea da bond-girl: un corpetto di broccato nero che le stringeva il petto di per sé abbondante, una minigonna abbastanza corta da far intravedere reggicalze e biancheria intima in pizzo che di rado portava sotto, uno scomodo velo rosso con uno spacco a una coscia per formare un vestito conturbante e abbinato a un paio stivali alti fino alle ginocchia, due ventagli richiusi che usava come cerchi rotanti appesi a un laccio stretto in vita, e un anello d’oro, lo stesso di Sonja, con lo stemma della Corte del Sole forgiato su di esso, che riluceva alla tenue luce diurna. Il suo incarnato abbronzato, le sue chiome d’onice che volteggiavano intorno al suo viso da bambola, i suoi occhi blu come zaffiri e le sue labbra tumefatte non convinsero Sonja a cambiare l’opinione che aveva su di lei.
<< Owen non c'entra. Lascialo stare! >> Il Gelo mantenne i nervi saldi rimettendosi in piedi carponi. Nello svolgere l’operazione, scintille di ghiaccio cristallizzarono il terreno sotto le sue dita.
<< Owen… Owen! E da quando in qua usi questi nomi così volgari? Smettila con il tuo accanimento per gli umani e le loro fandonie! >> la rimproverò Artemisia accompagnando le sue sdegnose considerazioni con un riso freddo e sprezzante. Come poteva Atlas, suo padre, amare una donna così vuota ed egoista? Che fosse sotto il suo incanto malefico? Di certo Artemisia sapeva il fatto suo, ed era maestra nel compiacere gli uomini con il suo charm, ottenendo da loro attenzioni speciali a corte. Era una tipica femme fatale, dallo spirito libertino e intrigante.
<< A me non piacciono gli umani. >> controbatté Sonja, paonazza.
<< Bene, Gelo… Eoghan, porta la nostra principessa nelle sue stanze. La voglio pronta tra cinque ore, non un minuto di più. Oggi ci sarà un favoloso ricevimento con tutti i più importanti esponenti delle corti fatate. E Sonja non deve assolutamente mancare. Capito, servo? >>
<< Agli ordini, Artemisia. >> Owen, trafelato, fece un inchino sforzato, con l’unico pensiero di trafiggere più volte il petto di quell’impertinente non solo per il comportamento sfacciato rivolto al suo indirizzo, ma specialmente nei riguardi di Sonja. Difatti, Artemisia non era altro che l’amante del re, una delle tante, e per questo non gli era affatto superiore. Frattanto che questa convinzione portava la mano di Eoghan sul pomo della sua spada ancora inguainata, Sonja gli scoccò un’occhiata allarmata e scosse la testa con perizia nervosa.
Owen abbandonò le sue fantasie belliche e incrociò le braccia al torace brillo di furore battagliero represso.
<< Eoghan, dove è finito il tuo onore? Perché non vieni qui e mi prendi a calci, su! Un tempo ti piaceva. I nostri duelli erano sempre i migliori, a corte. >> Artemisia volse le spalle a entrambi con fare avvenente, consapevole del suo potentissimo glamour che si inspessiva tra i tronchi massicci degli alberi e i cespugli sferici e turgidi. << Ma Atlas sa riconoscere il buono quando lo vede, non ti pare? >> aggiunse ormai lontana, la sua silhouette nera vicina al portone del castello di pietra e nascosta tra le fitte fronde della vegetazione circostante.
<< Owen, non darle retta, fa di tutto per farti sentire inferiore, ma tu non ascoltarla.>>
<< Lo farò, principessa. >> Eoghan anticipò l’affettuoso consiglio di Sonja e piegò un braccio per offrirle i suoi possenti bicipiti come appiglio.
Soltanto quando due chiazze più rosate si formarono sugli zigomi prominenti di Owen, Sonja realizzò di avere addosso un leggerissimo scialle satinato, probabilmente portato da Artemisia dopo il suo atterraggio in volo, da cui erano visibili le squisitezze di una giovane donna nel pieno dei suoi anni. L’attenzione bruciante di Owen risalì dalle sue gambe alle dolci colline del suo petto, non tralasciando nulla, neanche la cavità del suo ombelico scoperto.
Il cavaliere incontrò lo sguardo di Sonja, che era agitata da una moltitudine di domande che un solo corpo non avrebbe mai potuto contenere. Si limitò a porgerle una mano sul collo e a cingerle le spalle per portarla in braccio più facilmente, come due neosposini umani che varcano la soglia di casa per la prima volta. Solo che Owen lo faceva perché credeva che la sua principessa non avesse Potere a sufficienza per sostenersi.
Mai sottovalutare il Gelo.
Sonja si rialzò rifiutando l’aiuto di Owen e corse con un nodo in gola oltre l’illustre padiglione del suo giardino, schizzando sul selciato del vialetto tra aiuole in fiore e arbusti secolari che solcavano la terra con le loro profonde radici.
Da sola.


<< Principessa, si giri. Devo finire di rammendarle le maniche del vestito. >> Bausee, la sarta di corte, aveva realizzato una favolosa opera d’arte quella mattina. Era convinta di aver dato alla luce più un pargoletto che un abito di eccelsa manifattura. E forse aveva proprio ragione. Quello di Sonja era un vestito verde perla di stile imperio, lungo fino alle caviglie, con bordature ricamate che circondavano il vitino sottile di Sonja e con delle finissime catenine come spalline. Presentava motivi floreali sulla gonna e graziosi merletti alle maniche vaporose. A ogni suo passo, il Gelo sentiva frusciare il taffetà che si gonfiava come se ci stessero soffiando del vento dall’interno.
<< È perfetto, Bausee. >> disse Sonja dall’alto del piedistallo su cui si trovava, di fronte allo specchio dorato della sua stanza, fissando quella strana figura riflessa in cui lei non si riconosceva.
<< Ma non è ancora finito … e voi dovete essere dal re tra quindici minuti! Per la Dea, non riuscirò mai a finirlo in tempo! >> Bausee tagliava il filo e infilava l’ago nel tessuto con gesti convulsi, come una forsennata, ignorando le esclamazioni di Sonja ogni qualvolta che la sarta le pungeva un dito o le tranciava un gomito.
Bausee conosceva Sonja sin da piccola, con la sola differenza che lei aveva avuto meno fortuna della principessa, essendo nata da una famiglia plebea della Corte del Sole. All’età di undici anni era stata venduta al re, commosso dalla bravura della ragazza di tessere le stoffe e cucire vestiari pittoreschi.
Tuttavia, lei era una delle poche persone che Sonja vedeva entrare e uscire indisturbati dalla sua stanza, visto che copiosi banchetti ed estenuanti andirivieni erano sempre all’ordine del giorno, e per volere di Atlas, Sonja doveva indossare qualsiasi cosa che la facesse brillare come un diamante al sole. Era la legittima erede al trono, nonostante fosse figlia di una sidhe uscita fuori di senno subito dopo la sua nascita. Sua madre, si diceva, aveva sofferto molto durante la gravidanza e, come succede a molte donne umane, era entrata in depressione post-parto, e non aveva mai voluto stringere tra le sue braccia la nuova nata. Aveva promesso ad Atlas di dargli un figlio maschio forte e sano; invece, vedendo uscire dalla sua pancia una bambina urlante con una zazzera bionda appena accennata sulla testa e con poteri caratteristici dei sidhe della corte rivale, si sentì irrealizzata e indegna del suo titolo, e così, dopo qualche anno, abbandonò la corte di Atlas per sempre. Come avesse passato i suoi ultimi giorni prima di togliersi la vita rimaneva un mistero, ma il re non ci mise tanto a rifarsi dalla sua perdita. Aveva provveduto a rimpiazzare la precedente regina con altre giovani dame di sangue blu, graziose e attraenti quanto bastava, con risultati spiacevoli. Sonja era l’unica figlia che aveva avuto in matrimonio e questo faceva di lei il suo fatale tallone di Achille: chiunque, sposando la principessa, poteva avere accesso al governo della Corte del Sole, e diventarne il capo supremo. Ecco perché quel ricevimento infastidiva Sonja, e non di poco: suo padre le aveva procurato uno sposo degno di lei e del regno? Se sì, chi era il fortunato?, rifletté la principessa mordicchiandosi il labbro inferiore. Ma la domanda vera era: lei lo voleva veramente? E cosa avrebbe detto Owen?
Per la Dea, Owen…
Sonja non aveva fatto altro che pensarci, e dalle sue mani continuava a sgorgare sudore caldo e incontrollato. Ma non doveva farsi strane idee. Owen era la sua infallibile guardia del corpo, generato per brandire la sua spada assassina, non per provare qualcosa di più di una semplice amicizia per lei, principessa della Corte del Sole, “Il Gelo della torre dorata”.
<< Bausee, conosci per caso il motivo per cui Atlas ha organizzato questo ricevimento? >> chiese Sonja speranzosa e confidando nella proliferazione dei pettegolezzi che, una volta tanto, potevano ritornarle utili.
<< Se mi permettete, principessa, preferirei tacere su questo argomento. Atlas non perdonerebbe questa mia debolezza se vi rivelassi troppi particolari sull’evento. >> Bausee, nel contempo trillante e affaccendata, scosse il capo con vigore, facendo oscillare i suoi riccioli, e si accinse a modellare una cintura con piume di pavone cascanti che spiccava per il suo verde più scuro della veste, da sistemare comodamente lungo i fianchi della principessa.
Con un’espressione impensierita, Sonja fece una smorfia di delusione che contornò la sua bocca di ciliegia, quando sentì bussare alla porta con due sonanti colpi.
Il grido di battaglia di Artemisia.
<< Bausee, esci fuori. Devo parlare in privato con la nostra principessa. >> Il suo tono esigente e dittatorio risuonò con tutta la sua impetuosità tra le spesse pareti della stanza, nonostante la feroce donna non vi aveva ancora messo piede.
Il Gelo avvertì il suo sangue trotterellare come un dissennato, mentre il suo sguardo si volgeva ad est, oltre l’enorme finestra balaustrata, dove una dilettevole brezza di vento portava con sé i profumi autunnali e raccoglieva i resti di poveri germogli non sopravvissuti alla bufera notturna. Ogni petalo strappato, ogni stelo leso conservava una vita troncata sul nascere, un irreparabile segno di come la natura fosse generosa e crudele con le sue creature mortali. Alcuni di essi di posarono sul davanzale marmoreo, come a cercare un luogo riposante per distendersi immobili.
<< Sonja, mi senti o no? >> Artemisia ricoprì la visuale con le sue belle forme, il sopracciglio triangolare all’insù, rigido. Erano completamente sole, lei e Sonja, e di Bausee non rimaneva altro che il suo formidabile set da lavoro.
La principessa scese dal piedistallo e lisciò la parte inferiore del vestito, evitando che l’orlo dell’abito sfiorasse il pavimento pieno di fascette di pizzo tagliate via dalle bordature. Non voleva discutere con quell’arrogante di Artemisia, benché il suo volto fosse già posto sugli accurati fronzoli delle sue maniche. Con noncuranza, la scansò e socchiuse gli occhi candidi da cui traspariva la completa consapevolezza che ciò che la guerriera stava per dirle non sarebbe stato molto piacevole. Che Artemisia godesse nell’annunciare notizie infauste, era evidente dall’elettricità che emanava il suo corpo longilineo.
<< Siete pronta per il grande passo, principessa? >> domandò maliziosa Artemisia, le iridi violacee che guizzavano come due teste di cobra.
Sonja rilassò le spalle in un gesto di studiata grazia. << Allora è vero. Mio padre ha trovato qualcuno che… >>
<< … che possa starti vicino senza morire assiderato, sì, purtroppo, sì. >> disse Artemisia mettendo a dura prova il suo assenso per la decisione del re.
Sonja non credeva di poter sopportare ancora per molto la sua finta devozione, così ridicola e insensata.
Come se la brama di Artemisia di ricoprire il posto a fianco di Atlas - che sicuramente non avrebbe mai avuto - potesse significare qualcosa per lei.
La ragazza lasciò scorrere nella sua mente le immagini delle casate più facoltose del mondo fatato. Ma, dacché Sonja conosceva a memoria le facce di tutte le fate della Corte del Sole che il padre le aveva proposto tempo addietro, era alquanto impossibile supporre che il re avesse scelto proprio uno dei suoi ex-candidati, risultati troppo deboli per resistere al Potere della principessa senza rimanerne sotto shock o addirittura morti. Quindi, l’unica soluzione era che il futuro sovrano fosse un membro della Corte Oscura, dalle capacità analoghe a quelle del Gelo.
<< Sonja, hai capito benissimo. Tra due settimane sarai maritata, e nientemeno che con il principe Nathan, figlio di Kaamos e Izabel, i sovrani oscuri. E devo dire che il giovanotto è rimasto molto impressionato dal tuo aspetto e dalle tue risorse. >> confermò Artemisia con un ghigno disegnato sulle labbra.
<< Nathan... mai sentito. >> rimbeccò Sonja, fingendo indifferenza a quell’annuncio che nel frattempo le aveva procurato un grave tuffo allo stomaco.
<< Devo ammettere che Atlas ha saputo vendere sua figlia a buon mercato. E poi dicono che siamo noi della Corte Oscura a essere infimi. >> Artemisia fece un giro su se stessa, sedendosi su una panca lignea a destra della toletta di Sonja, vicino alla porta dello stanzino comunicante. << Oh ti prego, non piagnucolare! Ti si scioglierà il trucco e non sarai presentabile al banchetto. >> puntualizzò aspramente - ogni parola sagacemente calibrata per versare litri di veleno tossico su Sonja. Rilassandosi con un gemito esagerato, si limò le unghie con un coltellino cacciato dal fondo del corsetto, in mezzo ai seni.
<< Mio padre non è meschino! Se è arrivato a fare una simile decisione, è solo perché i sidhe maschi del mio regno mi temono per quello che faccio, e non mi toccherebbero nemmeno con un dito, neanche per farmi una riverenza! Questa non è cattiveria, Artemisia! >> gridò Sonja scossa da tremori incalzanti, dalla testa ai piedi, mentre l’aria intorno a lei era sempre più fredda e i suoi sospiri si tramutavano in nuvolette di vapore bianco.
<< Allora non capisci, Sonja. Ti ha condannata! La tua maledizione con Nathan non si spezzerà! Diventando sua moglie, non penserà certamente a te, anzi, sfrutterà il doppio Potere che dimora nel tuo corpo. L’aquila e il Gelo. Una vostra unione genererà il sidhe più potente che sia mai esistito, e Nathan non è un guerriero dal cuore puro e non ti può salvare. Così come Akarin, Sinclar, Fingas e tutte le guardie regali, Eoghan compreso! >> ringhiò Artemisia gesticolando rabbiosamente, con le vene del collo così pompate di sangue da fuoriuscire dalla sua pelle scura.
Sonja si resse alla colonna tortile del baldacchino, trattenendo le lacrime che le punsero le punte degli occhi. << Conosco la fattura che mia madre mi scagliò quando compii otto anni. Se le apparivo un essere contro natura e portatore del gelo invernale, tutti dovevano vedermi così. Non una sidhe del Sole, né una donna che può godere del calore di un uomo, ma un abominio. Mia madre volle condannarmi per farmi capire che in un modo o nell’altro sarei stata la causa non solo della mia infelicità, ma anche del mio regno di luce. Però diventare un animale non mi pesa più di tanto, Artemisia. Ho imparato a convivere con la mia bestia, o almeno ci provo. È il gelo che non mi lascia via d’uscita e mi fa soffrire, e non mi permette di... amare qualcuno senza che questo ci rimetti la salute. >>
La donna appollaiata di fronte a Sonja sollevò lo sguardo aggiungendovi una parvenza di impazienza. << Non ti illudere, principessa. La maledizione dell’aquila non è una cosa da niente. Il corpo di una fata non può tollerare due presenze contemporaneamente, e prima o poi si arriverà a una scelta: o tu o la bestia. Dipende da chi resisterà e sopravvivrà senza venire espulso. >>
Sonja strinse un lembo della sua veste stritolandolo e congelandolo tra le piccole dita. << No… >>
<< Sì, Sonja cara. >> Sul viso di Artemisia fece capolino un sorriso genuino. << Per liberarti del maleficium sarebbe opportuno bere il sangue di un combattente puro. Effettuare un Sodalizio di sangue. Ma è praticamente impossibile trovarne uno anche tra i cacciatori umani, di questi tempi. E se sposerai Nathan, il principe non ti farà certamente andare alla ricerca del tuo donatore. E ricorda che la sabbia del tempo continua a scorrere: sono già passati quindici anni dalla tua prima trasformazione, e sei a uno stadio avanzato. Se il tuo corpo selezionerà lo spirito predominante tra te e l’aquila, e sventuratamente tu dovessi perdere, avrai un’emorragia interna, collasserai e molto probabilmente morirai, tesoro. >>


Sonja sentì le sue gambe farsi pesanti, la testa girarle in tondo, i piedi troppo instabili per mantenerla in equilibrio.
Ecco, adesso si spiegava il perché di molte cose. Atlas aveva organizzato quell’incontro per far accelerare le pratiche del matrimonio, prima che scadesse il tempo, prima che Sonja…
<< Morta. >> sospirò la principessa con alcuni drappi della veste stretti in un pugno.
Respirò trangugiando lunghe boccate, come se l’ossigeno fosse l’unico elemento che la facesse mantenere in contatto con il mondo presente. << Artemisia, togliti dalla mia vista. >>
<< Sonja, ho solamente detto la verità. Il tuo corpo dovrà scegliere, ma solo dopo aver messo al mondo il nuovo erede…>> provò a spiegare Artemisia che intanto si era spostata alle spalle di Sonja.
<< Va-via! >> Il Gelo scandì bene le parole riversandoci tutta l’acredine e la frustrazione che erano rimaste celate a lungo nel suo cuore.
<< Come vuoi, ma sappi che io posso aiutarti. >> La guerriera guardò di sbieco Sonja, coprendo con un gesto fulmineo metà del volto, nascosto da una cascata di capelli neri come petrolio.
<< Desideri essere la nuova regina, bene, accomodati. Fallo pure! Preferisco morire come un cane, ma non far passare a mio figlio una vita di stenti e sofferenze, neanche se ciò significasse negargli grandi poteri! E adesso lasciami sola, Artemisia.>> Il Gelo si massaggiò la fronte facendo un’accurata pressione nella parte centrale e si pose sul materasso alto fino alla cintola.
Artemisia, senza esitare, abbandonò il terreno fecondo su cui aveva seminato il suo seme maligno, priva di rimorsi e dispiaceri, e non sbatté la porta come era il suo solito. L’accompagnò dolcemente e si smaterializzò in un istante.
Sonja lasciò che la sua disperazione sopraggiungesse, e si gettò a pancia in giù sul letto, battendo a più non posso i palmi delle mani sui cuscini rigonfi.
Non doveva andare in questo modo, non è giusto, non è giusto!
In un attimo Sonja vide un'ombra oscurarle il viso, e i suoi singhiozzi furono smorzati da un sfioramento quasi impercettibile che la principessa avvertì sulla sua testa e sul nervo sensibile del suo collo.
Si ritrasse di scatto, ritrovandosi un mento pronunciato, un paio di occhi fieri e delle labbra piene così vicini da sentirne il calore scottante sulla pelle.
<< Owen, cosa ci fai qui? >> lo sollecitò lei, perplessa, mentre Eoghan scorreva la linea ovale del volto della principessa con la stessa accuratezza che si usa per sfogliare antichi manoscritti dalla pagine friabili.
<< Vi ho sentita piangere, e poi ho visto Artemisia uscire dalla stanza. >> Owen indossava un’austera divisa militare, composta da pantaloni celesti stretti al polpaccio e una giubba costellata da rifiniture auree e bottoni d’oro perfettamente rotondi, che si accordava a una coccarda ricavata da un semplice velo bianco. I suoi capelli erano così simili alle sfumature della giacca da sembrare un effetto voluto appositamente per elogiare la sua bellezza graffiante.
Sonja mise a fuoco, e realizzò che le evidenti chiazze rosa di Owen non erano niente in confronto alla brace che ardeva le sue gote delicate.
<< Non è successo niente di preoccupante. Artemisia è la solita spaccona, ma con me non l’ha vinta. >> sorrise sterilmente, ma non con gli occhi. E Owen parve accorgersi della differenza.
<< Non avevo dubbi. >> Eoghan si fece più vicino, però non quel tanto da permettere un approccio più aderente dei loro corpi. Rimaneva il solito galantuomo pronto a lasciare i giusti spazi alle altre persone. Un lato di Owen che Sonja aveva sempre ammirato.
<< Ci sarai anche tu, vero, al ricevimento? >> azzardò Sonja mettendosi seduta con la schiena schiacciata sulla tastiera del letto.
<< Ovvio. Atlas ostenta sempre le sue forze militari, quando può. >> Owen stette accanto a lei, soffermando lo sguardo sulle onde dorate dei capelli di Sonja, che le dondolavano sul mento come scosse da un soffio d’alito e le davano un’aria così innocente, fanciullesca e sconsolata.
<< Non sei mai stanco di tutto questo? >> intervenne lei, allargando le braccia per alludere agli sfarzosi ornamenti che abbellivano la sua stanza. << Non vorresti vivere senza queste insulse cerimonie e falsità, come... come un mortale? >>
Owen rimase stizzito dalla sua domanda. Vivere come un mortale significava passare un’esistenza breve, effimera e insapore. Ma da un po’ questa prospettiva ballonzolava nelle sua mente, a condizione che un simile stile di vita fosse condiviso con qualcuno per cui valeva la pena sacrificare l’eternità di cui gode il popolo fatato.
<< Sì, me lo sono chiesto, a volte. >> rispose lui, rimanendo vago sul dove e sul quando.
<< E quale è stata la tua risposta? >> Sonja pendeva dalle sue labbra, con un luccichio folgorante nei grandi occhi celestini, come una fanciulla assetata di conoscenza che non fa altro che chiedere il perché delle cose che vede e assapora.
Ma vennero interrotti da Bausee che si precipitò dentro con gli attrezzi da cucito in mano. << Principessa, dobbiamo completare il vostro abito. Si rimetta sullo scalino. Presto. >>
<< Non c’è ne bisogno, va benissimo così. >> affermò Sonja con serenità.
<< Ma come...? >> Bausee, mummificata, aveva le braccia sospese come per disegnare gli ultimi ritocchi su una tela invisibile e la sua bocca aperta per lo sconcertamento ci mise un minuto buono per richiudersi nuovamente.
<< Vi aspetto fuori, maestà. >> Eoghan camminò con movimenti fluidi e lenti, ripercorrendo il mosaico monumentale che impreziosiva l’ancestrale foggia della pavimentazione.
Quando anche la sua sarta di fiducia l’ebbe abbandonata, Sonja si poggiò su una sedia di vimini di fronte al suo comò di legno massello. Serrò le palpebre e scalciò l'aria con i tacchi dei suoi decoltè di raso argentato.
Di una cosa era sicura, comprese saggiamente. Era ora di scegliere.
Disponeva di due possibilità: sposare il principe, procreare un erede e attendere una lenta, logorante morte - se l'aquila l'avesse sconfitta -, o rinunciare al trono di suo padre, tradendo così i suoi simili e la loro fiducia, ma vivere intensamente, approfittando dei meticolosi vantaggi che l'universo intero aveva da offrirle. Come in un film, voleva essere la protagonista della sua storia, non un personaggio secondario, insignificante e senza spina dorsale. Sonja pregò che qualcosa di straordinario le stravolgesse la vita. Completamente.
Sua madre si sbagliava se reputava Sonja una persona debole e incapace: la principessa era ottimista dentro, nei suoi recessi interiori che solo apparentemente erano appannati da una patina di ghiaccio infrangibile.
Era pronta.
E se proprio doveva andare a morire, be', la cosa migliore era farlo con eleganza.

Scevra da ogni paura, Sonja percorse l’infinito corridoio nell'ala orientale del castello, a passi più decisi. Il suo viso, cosparso da una velatura di speranza, venne illuminato da una gamma di colori alternati tra un arancione acceso, un blu cobalto e un rosso pelvico, provenienti dalle vetrate che scandivano ordinatamente le mura.
Da queste filtravano raggi di luce sconnessi e sventolii d’aria penetravano da sotto le imposte.
L’unica risonanza che Sonja percepiva era il frusciare della gonna mentre toccava terra e il tintinnio degli orecchini a perla che indossava.
<< Sonja, lascia che ti accompagni. >>
Accidenti, Artemisia era proprio incorreggibile!
<< Oh, non è necessario. Dopotutto è la principessa che la corte attende, o no? >> la apostrofò Sonja non rinunciando alla sua camminata orgogliosa e composta.
Artemisia non interloquì. Seguì Il Gelo fino a giungere alla maestosa apertura arcuata della sala regale, che si trovava esattamente dall’altra parte della costruzione, in corrispondenza del punto in cui il sole si innalza nel cielo nella sua più smagliante forma.
Definire il salone mastodontico forse non era sufficiente. Se un artista volesse rappresentare il Potere della Corte del Sole con un immagine ben precisa, allora basterebbe contemplare il luminoso scranno su cui Atlas sedeva, circondato dalle folte capigliature e dalle carnagioni translucide dei sidhe lì presenti.
Qualche verseggiatore dilettava con le sue liriche l’immaginario di alcune giovani fate che si abbandonarono sulle poltrone, incantate da quella melodia; musicisti abili armeggiavano con i loro strumenti a corda, i cui ripetitivi accordi saturarono le orecchie della principessa, stanca della loro solita nenia; rimaneva solo il pettegolezzo come passatempo ultimo, preferito dal resto degli invitati.
Le loro attenzioni magicamente si rivolsero su Sonja, non molto contenta di non passare inosservata come avrebbe voluto.
<< Figlia, era ora. >> Il timbro severo del re presagì un rimprovero per la mancata puntualità di Sonja.
<< Scusate, padre. >> Il Gelo si inchinò in segno di rispetto ad Atlas che tiranneggiava su di lei con la sua ponderosa stazza. La sua tunica argentea stretta da una doppia fascia intorno alla pancia gli conferiva più fierezza mentre si alzava dal suo trono di marmo bianco.
Il re andò incontro alla figlia per accompagnarla al tavolo degli commensali.
C'era una certa somiglianza tra Atlas e Sonja che, secondo molti, era la copia esatta della madre, mingherlina e garbata negli atteggiamenti, anche se non dello stesso livello di cattiveria che la precedente regina aveva mostrato di avere a spese di Sonja.
Artemisia si fece scura in volto non appena si accorse della benché minima considerazione che il suo amante aveva su di lei.
Ma prima, Atlas presentò Sonja ai più rilevanti ambasciatori della Corte Oscura, tutti in abiti eleganti e monocromi in contrasto con la loro pelle mortalmente pallida. Sonja fece lo sforzo di sorridere ad ognuno di loro e di ricambiare i complimenti fatti alla sua persona.
<< Siete davvero splendida, maestà. >>
<< Onorato di conoscerla. >>
<< La Dea è stata molto generosa con voi, Atlas, vi ha donato una figlia meravigliosa. >>
Parole. Solo parole smielate, a cui Sonja rispose con un timido cenno del capo.
La principessa mandava furtive occhiate all’orologio appeso in sala per verificare quanto a lungo sarebbe perdurato il suo supplizio. Dov’era Owen? Perché avevano mandato Artemisia come sua scorta?
Come attirato dalle sue elucubrazioni mentali, Eoghan, in piedi al margine della sala insieme agli altri guerrieri, cercò il suo volto con impazienza, nello stesso istante in cui Sonja si girò verso di lui. Le loro espressioni di intesa fulminarono l’area che li separava come lampi di luce che si confondono nel buio di un palco. Con un movimento labiale, Sonja lo pregò di accostarsi a lei, sostenerla come aveva sempre fatto. Aveva bisogno della sua guardia del corpo che normalmente le era accanto, giorno e notte, ora come non mai. Non appena Owen stava per raggiungerla, Sinclar, il suo miglior confidente che gli rimaneva secondo solo nella spada e nelle forza dei muscoli, gli strinse un braccio per indurlo a fermarsi. Non doveva intromettersi.
Sonja inspirò delusa, guardando con un misto di severità e comprensione le due guardie reali.
Quando le presentazioni furono terminate, un’androgina figura si avvicinò alla principessa, dissipando l’agitazione di Sonja non più robusta e invalicabile.
<< Alma Mater… finalmente ci incontriamo. >> Alma Mater era il titolo ufficiale di “Amata Madre” o “Regina Suprema”, che valeva per entrambe le corti. Un titolo che Sonja non ancora rivestiva.
<< Suppongo che voi siate Nathan. >> dedusse il Gelo inclinando il viso e un piede e salutando cortesemente il principe che ammiccava in tutto il suo splendore. Non vide, però, i regnanti oscuri spadroneggiare nella sala, presumibilmente assenti per qualche imprevisto burocratico, pensò.
Molto strano.
Nathan le prese una mano, affondando un labbro nella morbidezza della pelle di lei con un lieve, temporeggiante bacio. Il suo tocco emanava una leggera sensazione di neve fresca sulle nocche di Sonja, a cui la principessa era costantemente abituata perché i suoi pori cacciavano quello stesso e intenso viluppo di aria invernale. Faceva parte del suo Potere, dopotutto.
<< Ho desiderato questo momento da molto tempo, Sonja. >> Nathan si alzò nelle spalle, restituendo la mano alla sua legittima proprietaria.
Lei non poté non avvampare, vistosamente, per poi riprendere il coraggio di continuare un discorso razionale. << Credo, Nathan, che di tempo ne avremo tanto… per conoscerci meglio. >> Per inciso, Sonja non aveva alcuna intenzione di approfondire questa conoscenza, ma cosa poteva fare altrimenti? Il Gelo sapeva bene che accontentare e ammaliare il proprio interlocutore è una delle regole cardine del consorzio civile.
Nathan era un giovane piacente, trasgressivo a modo suo, poiché si era rifiutato di incorniciare il suo corpo con un ammasso di stoffe pregiate, adatte alla sua condizione sociale, preferendo un comodo frac nero. Forse trascorreva gran parte delle sue giornate in superficie, tra gli uomini, così a lungo da riprenderne le normali consuetudini. La sua coda era di un biondo platino molto lucido da sembrare una criniera bianca infittita da innaturali nervature d’argento.
<< Ebbene, >> si intromise Atlas con la sua voce possente, << ora che tutto è compiuto, Sonja e Nathan >> proclamò afferrando i loro polsi << sono lieto di annunciare… >>
<< Un matrimonio! Oh, le mariage est une chose impossible et pourtant la seule solution. >> Un isterico battere di mani fece trasalire Sonja, colta alla sprovvista da quel clangore fastidioso.
Le guardie si ammassarono all’unisono intorno a quello strano individuo, tra cui anche Artemisia, che spalancò le braccia come una danzatrice di tango, i suoi ventagli aperti a mezzaluna. Bastava una semplice torsione e addio per sempre al misterioso intruso che, per niente impressionato, esclamò con voce melliflua: << Ma Atlas, non vorrai concedere una simile accoglienza a un tuo ospite. >> conseguì aprendo le mani in un gesto trionfale.
Sonja, impettita, si fece strada tra i guerrieri insieme ad Atlas, alzandosi sulla punta dei piedi per vedere al di là delle teste degli uomini molto più alti di lei.
<< Claudius Berkley…>> tartagliò il re con somma meraviglia.
<< Atlas, ne sono passati, di anni. >>
<< Claudius… non ritengo che questo sia il momento giusto per una conversazione. Non adesso. >> La bocca del re era ridotta a un taglio netto e raggrinzito.
<< Suvvia! Non si abbracciano i vecchi amici? >> Sonja non riuscì a scorgere quell’uomo, il vecchio amico del padre, a parte la punta del suo scalpo appena visibile da quella distanza. Notò che Atlas gli stringeva rigorosamente una mano così alabastrina da far emergere le vene blu del polso.
<< Sono venuto qui, amico mio, per darti una notizia, a dir la verità, molto… sconcertante, che potrebbe interessare tutti voi, signori. >> annunciò portando la sua voce all’apogeo della promiscuità.
Sonja, scavalcata l’ultima guardia reale, per poco non indietreggiò bruscamente. Ciò che si ritrovò davanti non era un sidhe, né qualunque altro essere che si sarebbe mai aspettata di vedere. Non era persino umano.
Era un vampiro. Di giorno. In piena luce solare.
I suoi pensieri frammentati erano troppo veloci per poterli razionalizzare meglio, mentre il lord ricambiava il suo interessamento.
<< Principessa Sonja, che piacere incrociare il vostro sguardo. >> I suoi occhi verde oliva, la sua mascella rotonda e l’intenzionato accenno di barda che racchiudeva quel suo sorriso inumano, misero in subbuglio lo stomaco di Sonja, che non resistette all’istinto di coprirsi le narici che venivano perforate dall’odore muschiato del vampiro. Claudius ne intuì il motivo e sorrise accondiscendente.
<< Che ci fai a corte? Non immaginavo che ti fossi fermato a San Diego. >> Atlas si portò un dito sotto il mento, fissando serio il signor Berkley.
<< Oh, ma certo. Non intendevo interrompere la cerimonia. Avevo degli affari urgenti in città e ho accompagnato mia figlia Alexis a fare spese importanti. Eh, si fa di tutto per accontentare le proprie figliole. >>
<< Alexis… da quel che ho visto sul New York Times e sul Cosmopolitan, la tua pupilla splende ogni giorno di più. >>
Berkley abbracciò la sala con un agghiacciante sguardo. << Eh, sì. È diventata una vera signorina… Orbene, passiamo alle cose essenziali. >>
Atlas tese attentamente l’orecchio.
<< Forse saprai del colpo di stato contro la Corte Oscura promosso da una certa Sheila… Sheila Reynolds, se non vado errando…>> Berkley assunse un'espressione titubante, pensosa, aggravata da un’aura di serpeggiante malignità.
<< Sì, ne sono accorrente. Kaamos non ha potuto presenziare al fidanzamento di suo figlio, pur di sistemare la situazione. Ma mi ha assicurato che ciò non avrebbe interferito con tutto il resto. Con Sonja e Nathan. >>
In Claudius baluginò una fiammata di soddisfazione. << La veridicità dei fatti molto spesso viene distorta da chi racconta la storia a modo suo, mio caro Atlas. >> Socchiudendo le palpebre, dischiuse le labbra non mostrando la lunghezza dei suoi canini sporgenti, coperti chissà come da un'articolazione particolare del viso. << Sheila aveva dei contatti anche qui, nella Corte del Sole. E credo che non lo sappia nessuno, neanche Il Cacciatore. Hai dunque dei traditori in mezzo a te, Atlas. >> concluse sistemandosi su una scricchiolante seggiola in noce.
Bisbigli sommessi degli altri sidhe, sia servi che nobili, riempirono il silenzio, incitando Atlas a rispondere con un impotente “Silenzio!!” per calmare quello stupore indomabile.
<< Con tutto il rispetto, ma non ti permetto di fare simili insinuazioni. Non puoi prenderti confidenze tali da sconvolgere la mia gente in questo modo! >> sibilò snervato, una volta taciuto il trambusto generale.
<< Atlas, io non sono altro che un umile vampiro! Ti sto semplicemente mettendo in guardia prima che i responsabili possano colpire anche la tua sicurezza. >> puntualizzò Claudius accavallando le gambe, le dita ben aggrappate alle teste arricciate dei braccioli. << In passato ho già chiuso un occhio per tutti quei sidhe della tua corte che hanno invaso il mio territorio senza preavviso. Cosa che, ad essere sincero, mi ha molto infastidito. Quindi, spero che vorrai ricambiare questa mia cortesia, in nome dell’amicizia che ci lega. >>
Spostatasi trasversalmente, Sonja vide che Berkley era davvero un uomo affascinante, sulla quarantina, o perlomeno era quella la probabile età che aveva quando venne trasformato. Sotto un trench Burberry sbottonato, il lord sfoggiava una fusciacca rosso tiziano, dei pantaloni di marca costosa e un paio di scarpe lucide e di recente acquisto. Le marcature sporgenti del suo volto, intagliato da corti capelli castano scuro, attirarono come un magnete gli occhi azzurro cielo di Sonja.
<< È un ricatto? Come osate solo pensare di minacciare mio padre? >> Quell’imprecazione le uscì spontanea, imbrattando la sala con il suo Potere di ghiaccio. Molte fate, rabbrividendo, si ritrassero, scandalizzate dall’inaspettata eloquenza della timida principessa che sembrava più una leonessa coraggiosa che un leprotto in procinto di scappare dal suo predatore.
<< Sonja!! >> la ammonì Atlas.
<< Vi ammiro, principessa, la vostra tenacia farà di voi una perfetta regina, un giorno. Avevo immaginato che avreste cacciato gli artigli, se necessario. Ma ahimè…esigo parlare con vostro padre per discutere di questioni private. Subito. >> Claudius, con le pupille spente da ogni emozione, si rizzò passeggiando sulle mattonelle bianche e grigio fumo, grandi quanto una scacchiera per giganti.
<< E sia. Figlia, Nathan, con permesso. >> Il re si diresse fuori dall’arcata d’ingresso, aspettando che Berkley lo seguisse.
Invece Claudius si arrestò vicino ad Artemisia, che lo squadrava dall’alto verso il basso con un senso di disgusto disegnato in faccia.
<< Però...sei più lungimirante di tua sorella Sheila, nonostante il carattere da odalisca sia sempre lo stesso. >>
La guerriera gli si parò davanti, i pugni tremanti dall’impulso di agire. Allorché il vampiro si voltò strascicando un piede, scomparendo in un flash biancastro come quello di una macchina fotografica ottocentesca.
Teletrasporto.
Sonja trovò il suo cavaliere dietro di sé e seppellì la fronte nel collo di lui, aggrappandosi alle sue dita callose.
<< Ma chi è? >> chiese immediatamente ad Artemisia, non lasciando il corpo di Owen. La concubina di Atlas, muta e inflessibile, mirava i suoi occhi da gatta verso quel riflesso ancora percettibile e malsano. La scia di Claudius.
<< Lord Berkley è un vampiro molto forte, Sonja. Era amico di tuo padre sin da quando Atlas era solo un principe. >>
Il Gelo insistette spintonandola da lato. << Non hai risposto alla mia domanda. Lui chi è? E cosa vuole dal re? >> ripeté Sonja puntando un dito nella sua direzione.
<< È un multimiliardario proprietario della Berkley Enterprises, una compagnia che si occupa di sistemi informatici e ricerche sperimentali nel campo della nanotecnologia. Vive a Cloud Town, il centro infernale più noto al mondo. È lì che ha accresciuto il suo Potere e, sinceramente, non ho la più pallida idea di cosa voglia da Atlas, principessa. >>
Sonja sentì raggelarsi il sangue.
Eoghan la sospinse via dal guazzabuglio che era diventato il ricevimento del suo fidanzamento. Lei non fece caso a Nathan che si incupì quando intravide il braccio di Owen che la stava stringendo calorosamente. Il principe oscuro fece per avvicinarsi, ma ci ripensò bevendo del vino da un boccale di cristallo.
<< Owen…dove mi stai portando? Fermati! >> Usciti dal salone, il Gelo non riusciva a respirare e le gambe appesantite stavano per cederle. Eoghan lasciò due minuti a Sonja per riprendere fiato, e poi la avvertì contrito: << Principessa, venga con me. E non mi faccia domande. >>
A quel punto Sonja sbottò furiosamente. << Non mi muovo se non mi dici cosa sta succedendo! >>
<< La corte non è sicura. >> Owen, rigirandosi, faceva attenzione ai singoli cambiamenti del vento e a ogni minimo, dannato rumore.
<< Mi stai innervosendo! >> La principessa si tolse la cintura che le bloccava la normale respirazione e la scaraventò in un angolino lontano. << Spiegati. >>
<< Avete sentito lord Berkley. Ci sono degli usurpatori. >>
<< Oh, Owen! E tu ci credi? Dai retta a un vampiro! >> Sonja poggiò la schiena contro il muro e si passò le mani sulla pelle pervasa da tremori.
<< Non dovete avere paura. Vi proteggerò contro chiunque si permetta di toccarvi. >>
Sonja strabuzzò gli occhioni lucidi e si scostò i capelli dal viso. << Allora che mi dici di Nathan? Mi proteggerai anche da lui? >>
Owen le strofinò le spalle come per indurre la principessa a concentrare l’interezza dei suoi timori su di lui, più che a infonderle calore. << Nathan non rappresenta una minaccia per me. E non temete per vostro padre. Berkley non gli torcerà un capello. >>, la rassicurò come se avesse letto nei suoi pensieri. Come sempre. << Claudius dirà i nomi dei traditori e per ricambiarlo, Atlas dovrà cedere qualche piccolo favore al vampiro. Speriamo solo che il prezzo non sia troppo alto. >>
<< Owen, che ne dici se…se ce ne andassimo dalla corte per non tornare mai più. Ora. >> Il Gelo sollevò piano la testa, immaginando di trovare una galoppante furia che deturpasse i raffinati zigomi di Eoghan.
Invece Owen era impietrito, come se lei avesse appena detto una sciocchezza di prim’ordine, una proposta inammissibile. << Non scherzate, Sonja. >>
Lei portò le mani al petto quando udì delle urla di dolore e appelli di soccorso provenire da un gruppo di sidhe, che chiedevano pietà affinché Atlas fosse misericordioso e risparmiasse loro la forca.
<< Li hanno presi… >>. Ciò che disse Sonja fu solo un flebile mugugno coperto dallo sferragliare delle catene di ferro che le guardie stavano portando nelle stanze sotterranee. Le cabina delle torture.
Sonja ebbe dei pesanti conati di vomito e anche se non poteva vedersi a uno specchio, sapeva di avere un viso terreo, scandalizzato dagli avvenimenti che stavano per verificarsi. Per lei era inconcepibile fare violenza alla natura e a qualsiasi altra creatura vivente. La vita andava preservata, non distrutta ed annientata in una manciata di polvere.
Ma il Gelo non doveva arrendersi. Non doveva perdersi d'animo.
<< Vieni. >> per una volta Sonja si gongolò nella gratificazione di essere lei a guidare Owen in quel dedalo di corridoi.
Introdotti nella sua camera, Il Gelo perlustrò gli stipetti invetriati vicino al suo letto e buttò per terra scatole, cosmetici e sciarpe che caddero con un sonoro tonfo. Scavando, allungò una mano più in fondo e a tastoni agguantò un portagioie intarsiato con antiche gemme scarlatte. Lo aprì rudemente e afferrò una mappa piegata su due lati e un oggettino grande quanto una falange.
<< Cos’è? >> Owen non era sicuro di quello che la principessa nascondesse e, in ogni modo, voleva sentirglielo dire.
<< È una pietra di Atlantide. >> si giustificò lei, distendendo la mappa geografica sul tappeto ai piedi del letto e tenendo stretto fra le dita un cristallo trasparente che mandava spire iridescenti sulle sue guance arrossate. << Ho sperimentato anni su anni una cura per la mia maledizione. Ma non c’era verso. Mia madre era una grande conoscitrice delle arte magiche e ha fatto di tutto per rendere fallimentari i miei tentativi. >>
Owen si chinò affianco a lei, osservando interessato la annotazioni della principessa sul bordo della cartina studiata con cura. Vi erano presenti rialzi a onda dove il sudore di Sonja si era asciugato evaporando dal foglio.
<< Noi siamo qui, a San Diego, e il mio guerriero può vivere ovunque. Ho controllato per due anni tutta l’Asia, l’Europa occidentale ed i Paesi dell’Est, ma niente di niente. Sette mesi fa ho concluso con l’Australia e l’America Latina. Un altro buco nell’acqua. >> Sonja calmò il battito del cuore impazzito dall’emozione di confessare i suoi segreti a qualcuno, cosa che non avrebbe mai fatto se non con Owen. << Ma quando Artemisia ha nominato Cloud Town, ho avuto un’illuminazione. La sua energia è incommensurabile, Owen...ed è per questo che Claudius ha conquistato un Potere estraneo e superiore alle capacità tipicamente vampiresche, come il teletrasporto e la resistenza al sonno diurno. Ha attinto da quel Potere. >>
Eoghan seguiva il ragionamento trattato da Sonja affascinato.
La principessa era proprio una donna saggia e trascendente, e Berkley non mentiva sul fatto che lei sarebbe stata una fantastica Alma Mater, rivoluzionando l’intero sistema politico della corte. << E come? Con i cristalli di Atlantide? >> le chiese con un cenno del capo.
<< Forse sì, forse no. Anche una strega e un negromante ne sarebbero capaci. L’importante è essere in comunicazione con il Potere. Una volta lessi su un libro della biblioteca di mio padre che solo delle creature particolari hanno queste facoltà tendenzialmente sviluppate. Mi pare le chiamassero "le Incantatrici". Purtroppo gira voce che la loro stirpe sia stata spezzata e mai più ricostituita, quindi escludiamole dalla lista. >>
Sonja si legò i capelli con un elastico, visto che il sudore le scorreva intorno al collo e colava lungo la sua schiena madida.
<< State parlando di Nikita, vero? >> fece Owen con una nota di apprezzamento.
<< La leggendaria Nikita, già…>> concordò Sonja << è un mito anche per Artemisia, pensa un po’. Lei sì che era una guerriera di puro cuore e mi avrebbe aiutata, se fosse ancora viva. >>
<< Era l’Incantatrice, principessa. E noi sidhe l’abbiamo sempre rispettata, e tutti quelli che l’hanno vista, come Sinclar, sono stati irretiti dal suo fascino. I suoi occhi erano come specchi dove potevi ripercorrere i peccati delle tua esistenza in un breve, doloroso miraggio. Mi rammarico di non averla mai conosciuta, ma è meglio così. Non so se sarei riuscito a sostenere il peso dei miei errori. >>
<< Owen…>> Sonja gli carezzò i capelli mentre Eoghan scuoteva la testa. << Non dobbiamo guardare al passato, nonostante il presente sia angosciante e il futuro imprevedibile. >>
<< Certo… comunque… continuate il vostro discorso. >> Lui le prese la mano procurando una sufficiente scarica di adrenalina da riempirla di determinazione.
<< Il cristallo di Atlantide era usato per svariati motivi, dal campo psichico a quello medico, per smaterializzare le sostanze o come cura antinvecchiamento. Nell’isola di Atlantide, secondo la leggenda, esisteva un’enorme piramide con una pietra del genere alla punta, ed era così che gli Atlanti la esponevano al Potere della luna o del sole. Però io ho approfondito le ricerche su questo cristallo, scoprendo che funge anche da sentore energetico. E se uniamo i nostri Poteri, mi risulterà più facile localizzare il mio salvatore. Non ti costringo, se preferisci astenerti dal rito. >>
Eoghan annuì. << Iniziamo. >>
Sonja fu sollevata nel sincerarsi che la sua guardia personale non avesse nulla da ridire, ma che si offrisse volontaria senza problemi.
<< Prendi la mia mano e non lasciarmi per nessun motivo, altrimenti il flusso di energia si romperebbe e non avremmo le forze necessarie per ripetere tutto daccapo. >> precisò lei con voce vellutata.
Inginocchiati uno di fronte l’altra, crearono un cerchio congiungendo gli avambracci. Il cristallo poligonale con la sommità a forma piramidale era ritto e acuminato, e occupava un esiguo spazio tra Owen, Sonja e la cartina.
L’unica speranza del Gelo era di far innescare il suo Potere e quello di Eoghan, e di intrufolarsi nelle reti energetiche del mondo fairy.
Claudius aveva fatto lo stesso, ripensò Sonja, utilizzando però la forza spirituale di Cloud Town.
Sonja si concentrò confutando le ipotesi di un possibile esito negativo del rituale. Doveva sfruttare la positività che traspariva dall’accentuata piegatura delle labbra di Owen e non sprofondare nelle sue insicurezze ingannatrici.
Sonja mantenne saldo il legame con Eoghan e iniziò ad invocare il suo Potere che eruttò sulla sua pelle come flutti di lava che striano di rosso i pendii di un vulcano.
Sentì come se un lucchetto della sua mente si fosse allentato, e il suo potenziale si innervò tra i confini della sua mente e si unì a serratura con la sorgente vitale di Owen, che lo cingeva in un focolare azzurro.
L’atmosfera carica di magia fatata vorticava in senso orario lungo la circonferenza del campo mistico con riverberi arancioni e celesti, che ondeggiavano come la pellicola dell’oceano perforata dal vento.
Il Potere venne risucchiato dal cristallo sempre più brillante, che mandò una linea di quel chiarore paranormale su un punto della mappa, a Cloud Town. Poi si rigettò su un muro delineato da due pesanti tende di velluto a effetto laser.
Sonja vide uno spesso fascio luminescente rischiararsi, come un proiettore cinematografico d’altri tempi che riporta i fotogrammi di una vecchia pellicola sul grande schermo.
Inizialmente le visioni proiettate erano indistinte, non molto nitide in quello strascico confuso e colorato.
A bruciapelo, un viso bruno e due occhi verde smeraldo rubarono la scena, rivelando poco a poco una liscia frangetta nera e un paio di guanti da rockstar borchiati e forati alle dita.
Apparve con uno scatto l’immagine completa, una ragazza di colore che dondolava aiutandosi con i suoi fianchi rotondi.
La giovane reggeva un microfono in mano e, movimentata dal ritmo del basso e della batteria che accompagnavano il suo canto appetibile, si scateneva in una danza armonica ed esuberante. Seguiva con le unghie un tracciato nell’aria, come a riprodurre le note musicali su uno spartito che solo lei immaginava di avere.
La puro di cuore...a Cloud Town...lo sapevo...
La bestia di Sonja protestò cercando di rovinare quell’incantevole momento. Ma lei non si fece intimorire lasciando che la smania dell'aquila vincesse il predominio nella sua testa.
<< È lei? Ne siete proprio sicura? >> la interpellò Owen con palese scetticismo.
<< Sì. >> quel monosillabo fu la sola risposa che Sonja riuscì a dare. Stava esplodendo per l’impazienza di catapultarsi fino a Cloud Town anche a piedi nudi. << Non ci posso credere! Ce l’abbiamo fatta! >> Il Gelo trovò rifugio tra le braccia di Owen che l’accolsero con reciproco entusiasmo, e rise anche se la gola le doleva e i muscoli protestavano per i suoi gesti burrascosi.
Sonja roteò gli occhi in alto e osservò un Owen attanagliato da una strana esitazione.
Eoghan inaspettatamente affondò le dita tra i capelli di Sonja, liberi dall’elastico, e protese la sua bocca verso di lei, in cerca di qualcosa di totalmente diverso da una contenuta carezza. La principessa, paralizzata, non si mosse se non quando quel bacio tanto atteso permeò sulle sue labbra tremanti.
Le sembrò di gettarsi in una lettiga fatta di soffici piume...
Stuzzicandolo prima con i denti, si resse alle vigorose spalle di Owen e a quel contatto che divenne sempre più appassionante, travolgente, con le gambe scoperte ai lati degli stivali di Owen. La delicatezza venne sostituita dal bisogno che entrambi scoprirono di avere, la necessità di toccarsi senza infrazioni di regole o severi dettami da dover rispettare. Owen le afferrò il bacino sollevandola sopra di sé e non abbandonò quel bacio furioso neanche quando una dolorosa sensazione di freddo gli fece venire la pelle d’oca e gli suggerì di staccarsi a malincuore dalla ragazza.
Sonja interruppe la loro lenta esplorazione, coprendosi con un palmo le labbra arrossate. << Non possiamo. >> bofonchiò come se avesse pronunciato quel rifiuto contro la sua volontà. Sonja non desiderava altro che rigettarsi nel calore confortante che solo Owen era in grado di fornirle. Forse la colpa era di una semplice attrazione fisica o dei suoi ormoni surriscaldati. Qualunque fosse il responso, era sbagliato provare quei sentimenti per Owen. Lui sarebbe morto per assideramento e Sonja avrebbe compianto la sua scomparsa fino al Giorno del Giudizio, nel senso di condanna più atroce, precipitando in un dolore quasi liquido.
Insoddisfatta, Sonja non capì più nulla, né il richiamo dell’aquila che dimorava in lei e che si contorceva furente, né i sapori speziati e fragranti che arrivavano dalle cucine del castello.
Owen si rimise in piedi e fece dietrofront. << Perdonatemi per la mia ingiustificabile invadenza. Non succederà mai più. >> Frugò nelle aperture interne della giubba e portò alla luce un rotolo di pergamena legato con un filo sfilacciato.
Sonja si accorse di desiderare il contrario e ricacciò indietro la sua riluttanza a dire di no a quel bacio strepitoso.
<< È quello che penso che sia? >> domandò lei, avvicinandosi alla sua guardia prediletta. << È una pergamena del tempo? >>
Owen gliela consegnò gentilmente e Sonja lo ringraziò con un sorriso sghembo. Non era ancora capace di guardarlo negli occhi.
<< Atlas me ne diede una per andare in missione a Budapest, qualche mese fa, ma non la usai per questioni pratiche. Ho pensato potesse servire in futuro. >> Un tono imbarazzato si impose nella voce di Eoghan, che immobilizzò lo sguardo sui tasselli del mosaico pavimentale. << Basta scrivere al centro del foglio la destinazione stabilita e si formerà un portale che vi spedirà ovunque vogliate. >>
Sonja annuì, soffermandosi sugli intrecci filiformi della pergamena che erano stati realizzati a mano con indiscussa precisione.
Il Gelo si schiarì la voce prima di biascicare: << Verrai con me? >>
<< Non posso abbandonarvi, e Cloud Town non è un luogo raccomandabile per una principessa. >>
<< Non lo è per nessuno, stanne certo. >> Si sorrisero a vicenda, placando la tensione del viaggio che stavano per compiere.
Sonja, in fretta e furia, riempì poche sacche con banconote e gioielli di famiglia, tralasciando i capi appesi nel suo armadio perché sarebbero stati troppo bislacchi e fuori moda nel mondo degli umani. Almeno, una volta raggiunta Cloud Town, avrebbe venduto gli oggetti preziosi di cui disponeva e noleggiato una camera in un hotel, giusto il tempo di rintracciare la puro di cuore e spezzare il maleficio con il Sodalizio di sangue.
Sonja mise per iscritto il nome della città sulla pergamena e abbracciò Owen consapevole del forte impatto della transportatio. Un lampo accecante li tramortì e luccicò per alcuni secondi, riverberando il suo abbaglio sulle pareti e fuori dalla finestra socchiusa.
Di Sonja non rimase altro che il ricordo illanguidito dei suoi capelli biondi che sferzavano il viso di Owen e trascinavano una leggera ondata di gelo.
Da ora in poi, quella stanza sarebbe stata ancora più fredda senza la sua calorosa, dolce presenza.


Berkley, dopo essersi eclissato dalla corte di Atlas, orbitò nella sua limousine con i finestrini neri usati come scudi antisolari. Allentato il nodo alla cravatta, si rilassò sul sedile posteriore e assunse un carattere più o meno estasiato. Si era nutrito abbondantemente per mantenersi in forze di giorno, all’una del mattino, con il sole di San Diego che spaccava le pietre. Città troppo assolata per i suoi gusti.
<< Signore, questi sono i documenti da lei richiesti. >> Il famiglio di Claudius consegnò al vampiro una busta rigida, dalla consistenza massiccia.
Questi gliela strappò di mano, ansioso di esplorarne il contenuto voracemente. << Perfetto...quando sono state scattate? >> lo interrogò Berkley estraendo una decina di fotografie in bianco e nero che mantenne ferme su un palmo esangue.
<< Questa mattina. Alle otto e mezza, nove. >> rispose il segretario con un filo di voce, toccandosi i fori sul collo che avevano da poco smesso di sanguinare. << Fortunatamente, il vostro piano ha funzionato, mio signore. >>
<< Ah-ah-ah! Uccidi delle povere pulzelle innocenti e le Incantatrici abboccano all’amo come pesci! >> Claudius si prese beffe di quelle onorevoli paladine, degustando i sospirati frutti che i suoi sforzi stavano per dare dopo secoli di progettazione.
<< Chiama Alexis. Dille di andare da Kyle Reed dopo il crepuscolo e di mandarlo nel mio ufficio. >> gli ordinò il vampiro lanciandogli addosso il suo BlackBerry prelevato dalle tasche del trench.
Claudius fece un respiro eccitato. << Beatrix Miller…>> I canini di Berkley si estesero dalle gengive come due lance affilate, guardando la giovane donna dalla bellezza sovrumana immolata nelle foto, con i capelli sparsi e un trolley in mano mentre attraversava il terminal dell’aeroporto di Los Angeles, diretta alla Ford che l’avrebbe condotta a Cloud Town nel giro di un’ora o due. << …finalmente. >>